Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916
#ScrittoriItaliani
Scalza varcando da sabbie lunari, Aurora, amore festoso, d’un’eco Popoli l’esule universo e lasci Nella carne dei giorni, Perenne scia, una piaga velata
Scompare a poco a poco, amore, il sole Ora che sopraggiunge lunga sera. Con uguale lentezza dello strazio Farsi lontana vidi la tua luce Per un non breve nostro separarci.
Il carnato del cielo sveglia oasi al nomade d’amore
Nelle vene già quasi vuote tombe L’ancora galoppante brama, Nelle mie ossa che si gelano il sasso, Nell’anima il rimpianto sordo, L’indomabile nequizia, dissolvi;
E subito riprende il viaggio come dopo il naufragio un superstite lupo di mare
Tutto ho perduto dell’infanzia E non potrò mai più Smemorarmi in un grido. L’infanzia ho sotterrato Nel fondo delle notti
Nude, le braccia di segreti sazie, A nuoto hanno del Lete svolto il fondo, Adagio sciolto le veementi grazie E le stanchezze onde luce fu il mondo. Nulla è muto più della strana strada
E per la luce giusta, Cadendo solo un’ombra viola sopra il giogo meno alto, La lontananza aperta alla misura, Ogni mio palpito, come usa il cuore,
Un’intera nottata buttato vicino a un compagno massacrato con la sua bocca
Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie
Mi tengo a quest’Albero mutilato abbandonato in questa dolina che ha il languore di un circo prima o dopo lo spettacolo
E per la luce giusta, Cadendo solo un’ombra viola Sopra il giogo meno alto, La lontananza aperta alla misura, Ogni mio palpito, come usa il cuore,
Migliaia d’uomini prima di me, ed anche più di me carichi d’anni, Mortalmene ferì Il lampo d’una bocca. Questo non è motivo
Morire come le allodole assetate sul miraggio O come la quaglia passato il mare nei primi cespugli
Solo ho amica la notte. Sempre potrò trascorrere con essa D’attimo in attimo, non ore vane; Ma tempo cui il mio palpito trasmetto Come m’aggrada, senza mai