Giovanni Giudici

LA BOVARY C’EST MOI (I, III, VI)

I
 
Deve essere stato l’abbaglio di un momento
un tac di calamita da una parola mia o sua.
E io che ci ricasco benché lo so come sono.
Ma ti amo – mi ha ripetuto e come faccio
a non riamarlo io che non chiedo altro.
Poi tutti a bocca aperta che uno come lui
con una come me che nemmeno col pensiero avrei osato.
Continuo a domandarmi come è possibile che.
Chissà cos’ha in mente chissà in me cosa vede.
Chissà cosa ama se pure ama.
 
Potrei supporre di non sapere come sono
e che anche lui si domandi come è possibile che.
Ma temo sia più vero quello che so di sapere
e lui se non oggi domani riaprirà gli occhi.
Forse ci sta già pensando a come cavarsene fuori
più avanti dei miei timori.
Non devo illudermi perché dopo sarà peggio.
Meglio dirglielo subito che se ha un sospetto è vero.
Che faccia conto sia stato come uno sbaglio al telefono.
Insomma niente – e che se vuole può andarsene.
 
III
 
Una diavoleria ci vorrebbe – mentre ripeto
quasi che tu mi senta «le mie notizie
sono che adesso ho guardato la mia ombra»:
ma come puoi sapere che non mentisco?
Ti assicuro la guardo tutta nera sul rosso
a questo bel sole del gres del terrazzo – se almeno
potessi toccarti con l’ombra e questi minimi atti,
pèsca sotto i miei denti, muro contro i miei occhi,
sotto i ginocchi pavimento, un taglio
sulla mano, negli orecchi la mia voce...
 
Una diavoleria ci vorrebbe – per spiragli
di porte di finestre di tubi sottoterra
sul fruscìo tra gomme e asfalto o dov’è neve
questa luce ti arrivasse questa ombra:
perciò l’ora che il sole mi stampi esatta
dovrò scegliere e una pietra meno fredda
per i tuoi miei ginocchi e un graffietto da niente
se anche sulla tua pelle si farà e cantasse
questo sapore sulla tua bocca – m’ama non m’ama,
sentimentale peggio d’una puttana.
 
VI
 
La cosa che affastello per molte notti
nel sonno che s’interrompo frequentemente
e più nel dormiveglia dell’alba fastidiosa
che domani è già oggi e porta una nuova cosa.
Eppure la certezza è che tu non sei presente
nell’attimo a noi ben noto – il NO
di altra cosa che altro non può aggiungersi:
la verità del dubbio che tu sia niente
pensiero della mia mente
ma veri i giorni gli anni che per sempre non ti avrò.
 
Inerme contro il niente m’interrogo se tu sei
giuoco burla o passione irrevertibile
o un disegno sottile che mi sfianca o il vuoto
di tenerezza reciproco che è da riempirsi:
aspetto tue parole ma è luce di astro già spento.
Vorrei poterti abolire abolendo me stessa
come abolendo te stesso tu mi potresti abolire
per fare a tutti dire – di cosa mai parla
questa pazza senza pudore
senza il coraggio di morire per amore.

#ScrittoriItaliani da Autobiologia (1969)

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