Giosuè Carducci

Roma

Roma, ne l’aer tuo lancio l’anima altera volante:
accogli, o Roma, e avvolgi l’anima mia di luce.
 
Non curïoso a te de le cose piccole io vengo:
chi le farfalle cerca sotto l’arco di Tito?
 
Che importa a me se l’irto spettral vinattier di Stradella
mesce in Montecitorio celie allobroghe e ambagi?
 
e se il lungi operoso tessitor di Biella s’impiglia,
ragno attirante in vano, dentro le reti sue?
 
Cingimi, o Roma, d’azzurro, di sole m’illumina, o Roma:
raggia divino il sole pe’ larghi azzurri tuoi.
 
Ei benedice al fosco Vaticano, al bel Quirinale,
al vecchio Capitolio santo fra le ruine;
 
e tu da i sette colli protendi, o Roma, le braccia
a l’amor che diffuso splende per l’aure chete.
 
Oh talamo grande, solitudini de la Campagna!
e tu Soratte grigio, testimone in eterno!
 
Monti d’Alba, cantate sorridenti l’epitalamio;
Tuscolo verde, canta; canta, irrigua Tivoli;
 
mentr’io da 'l Gianicolo ammiro l’imagin de l’urbe,
nave immensa lanciata vèr’ l’impero del mondo.
 
O nave che attingi con la poppa l’alto infinito,
varca a’ misterïosi liti l’anima mia.
 
Ne’ crepuscoli a sera di gemmeo candore fulgenti
tranquillamente lunghi su la Flaminia via,
 
l’ora suprema calando con tacita ala mi sfiori
la fronte, e ignoto io passi ne la serena pace;
 
passi a i concilii de l’ombre, rivegga li spiriti magni
de i padri conversanti lungh’esso il fiume sacro.
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