#ScrittoriItaliani
Andavo. Andavo. Cercavo dove poter sostare. Ero ormai sul discrimine. Dove finisce l’erba e comincia il mare.
Le parole. Già. Dissolvono l’oggetto. Come la nebbia gli alberi, il fiume: il traghetto.
Amore mio, nei vapori di un bar all’alba, amore mio che inverno lungo e che brivido attenderti! Qu… dove il marmo nel sangue è gelo, e… di rifresco anche l’occhio, ora ne…
Ah, mio dio, Mio Dio, perché non esisti? Dio onnipotente, cerca (sfórzati)… almeno di esistere.
Non credo che questo sia il fischio del bracconiere. C’è troppa nebbia. Comunque (qui son le carte) finite voi la partita. Io
Così di rado l’ho visto e, sempre, così di sfuggita. Una volta, o m’è parso, fu in uno dei più bui cantoni d’un bar, al porto.
Sono tornato là dove non ero mai stato. Nulla, da come non fu, è mutato. Sul tavolo (sull’incerato a quadretti) ammezzato
Quanti se ne sono andati... Quanti. Che cosa resta. Nemmeno il soffio.
Senza di te un albero non sarebbe più un albero. Nulla senza di te sarebbe quello che è.
Chi avrebbe mai pensato, allora, di doverla incontrare un’alba (così sola e debole, e senza l’appoggio di una parola)
Genova mia città intera. Geranio. Polveriera. Genova di ferro e aria, mia lavagna, arenaria. Genova città pulita.
Mi sono risolto. Mi sono voltato indietro. Ho scorto uno per uno negli occhi i miei assassini.
Tutti i luoghi che ho visto, che ho visitato ora so – ne son certo: non ci sono mai stato
Da sempre me ne sono accorto. La ragione è sempre dalla parte del torto.
Non è arrivato nessuno. Tutti sono scesi. Uno (l’ultimo) s’è soffermato un attimo, il volto nel lampo