#ScrittoriItaliani #ScrittriciDonne
Chi mi parla non sa che io ho vissuto un’altra vita – come chi dica una fiaba o una parabola santa.
Fiamme nella sera del mio nome sento ardere in riva a un mare oscuro— e lungo i porti divampare roghi di vecchie cose,
È un sole bianco che intenerisce sui monumenti le donne di bronzo. Vorresti sparire alle case, destar… ove trascinano lenti carri sbarre di ferro verso la campagna—
Abbandonati in braccio al buio monti m’insegnate l’attesa: all’alba – chiese diverranno i miei boschi.
Stella morta, ai tuoi orli nubi di sogno e corolle di parole volgi nei cieli. Vedo per fondi mari pescatori notturni metter barche
O lasciate lasciate che io sia una cosa di nessuno per queste vecchie strade in cui la sera affonda – O lasciate lasciate ch’io mi perda
Domandavo a occhi chiusi –che cosa sarà domani la Pupa? – Così ti facevo ridire in un sorriso le dolci parole
Di là dai vetri tre rondini, di qua dai vetri tre mosche sfiondano bistrattando a gara due triangoli di svenevole azzurro…
Chi ti dice bontà della mia montagna?— così bianca sui boschi già biondi
A notte un lento giro d’ombre rosse alle pareti avviava i treni: tonfi cupi d’agganci al sonno si frangevano.
Accoccolato tra le pervinche sfuggi la furia ansante dei cavalli e l’urlo dei cani al sole.
Sospingo una delle grevi porte e mi cade alle spalle la furia del meriggio ventoso. A lenti passi m’inoltro, bevendo l’ombra improvvisa
Parole – vetri che infedelmente rispecchiate il mio cielo - di voi pensai dopo il tramonto
Oh, tu bene mi pesi l’anima, poesia: tu sai se io manco e mi perdo, tu che allora ti neghi e taci.
La mia vita era come una cascata inarcata nel vuoto; la mia vita era tutta incoronata di schiumate e di spruzzi. Gridava la follia d’inabissarsi