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Passan, compatti, tragici, severi, Colla testa scoperta. La cassa dell’estinto è ricoperta Di lunghi veli fluttuanti e neri. Un pensoso dolor fra ruga e ruga
Ruvida spada io son che il terren fende; Son forza ed ignoranza. In me stride la fame e il sol s’accende; Son miseria e speranza. Io conosco la sferza arroventata
Ella mi disse: «Tu non ridi mai; Imprecan sempre i versi tuoi mordaci. Tu il cantico non sai Ove il gaudio folleggia e vibra al sole La musica dei baci.
Poesia “Vaticinio” di Ada Negri Tags: Nessun tag Raccoglie le pesanti ombre la sera Sovra il giaciglio dove il bimbo posa. Preme nel sonno una tristezza fiera
Anima stanca, andiam dunque in Letizia per le strade e le piazze, oggi ch’è fes… Le piccole operaje han tutte in testa un fiore, e in bocca un riso di delizia. Ridono al sol d’Autunno che riversa
Soffro—Lontan lontano Le nebbie sonnolente Salgono dal tacente Piano. Alto gracchiando, i corvi,
Suonavi al pianoforte un’ampia e lieve melodia di dolcezza, un Lied tedesco. Stillava il suon sulla mia febbre, fresc… sfaldandosi nel cuor come la neve. L’invincibile arsura che mi strazia
Oh, portami lassù, lassù fra i monti, Ove lampeggia e indura il gel perenne, Ove, fendendo i ceruli orizzonti, L’aquila spiega le sonanti penne; Ove il suol non è fango; ove del mondo
Sul giardino fantastico Profumato di rosa La carezza dell’ombra Posa. Pure ha un pensiero e un palpito
Sogno.—Dinanzi al mio vagante sguardo Una turba fantastica traluce Tutta ravvolta ne la rossa luce Del tramonto di giugno austero e tardo. Son macri volti e petti strazïati,
Ella amava le gotiche navate Dei templi solitari; I ceri agonizzanti sugli altari, Il biascicar dei mistici Rosarî.
Sien le parole di tua rosea bocca come i fiori del mandorlo e del pesco quando il vento d’April vivido e fresco mette l’ali a ogni petalo che tocca. Sieno i tuoi occhi come le fiammelle
Tre dame grigie stan sedute intorno ad uno stagno, sul finir del giorno. Guardan la bruma vaporar dall’acque: pensano un canto che oscillò, poi tacque… L’una lasciò cadere il suo lavoro,
La macchina romba.—S’eleva ruggendo Il vasto solenne rumor, Qual forte avoltoio che, l’aure fendendo… Si slancia a le nuvole d’ôr. La macchina romba.—Son gli urli selvagg…
Ella pareva un sogno di poeta; Vestìa sempre di bianco, e avea nel viso La calma d’una sfinge d’oriente. Le cadea sino ai fianchi il crin di seta… Trillava un canto nel suo breve riso,