I.
Allor che viene con novelle sue,
ghermir mi piace l’agile fantesca
che secretaria antica è fra noi due.
M’accende il riso della bocca fresca,
l’attesa vana, il motto arguto, l’ora,
e il profumo d’istoria boccaccesca...
Ella m’irride, si dibatte, implora,
invoca in nome della sua padrona:
“Ah! Che vergogna! Povera Signora!
Ah! Povera Signora!...” E s’abbandona.
II.
Gaie figure di decamerone
le cameriste dan, senza tormento,
più sana voluttà che le padrone.
Non la scaltrezza del martirio lento,
non da morbosità polsi riarsi,
e non il tedioso sentimento
che fa le notti lunghe e i sonni scarsi,
non dopo voluttà l’anima triste:
ma un più sereno e maschio sollazzarsi.
Lodo l’amore delle cameriste!