#ScrittoriItaliani
Hanno rubato Dio. Il cielo è vuoto. Il ladro non è ancora stato (non lo sarà mai) arrestato
Sei donna di marine, donna che apre riviere. L’aria delle mattine bianche è la tua aria di sale e sono vele
Anima mia leggera, va’ a Livorno, ti prego. E con la tua candela timida, di nottetempo fa’ un giro; e, se n’hai il tempo,
Le parole. Già. Dissolvono l’oggetto. Come la nebbia gli alberi, il fiume: il traghetto.
Chi avrebbe mai pensato, allora, di doverla incontrare un’alba (così sola e debole, e senza l’appoggio di una parola)
Da sempre me ne sono accorto. La ragione è sempre dalla parte del torto.
Imbrogliare le carte, far perdere la partita. È il compito del poeta? Lo scopo della sua vita.
Confine diceva il cartello cercai la dogana, non c’era non vidi dietro il cancello ombra di terra straniera.
Genova mia città intera. Geranio. Polveriera. Genova di ferro e aria, mia lavagna, arenaria. Genova città pulita.
Un’idea mi frulla, scema come una rosa. Dopo di noi non c’è nulla. Nemmeno il nulla, che già sarebbe qualcosa.
Andavo. Andavo. Cercavo dove poter sostare. Ero ormai sul discrimine. Dove finisce l’erba e comincia il mare.
Buttate pure via ogni opera in versi o in prosa. Nessuno è mai riuscito a dire cos’è, nella sua essenza, una rosa…
Non credo che questo sia il fischio del bracconiere. C’è troppa nebbia. Comunque (qui son le carte) finite voi la partita. Io
«Ma,» domandai (il vinaio si forbiva la bocca col pollice), «che ne è,» domandai… «di quel vecchio (alto, bell’uomo – un cappellaio,
Sta forse nel non essere l’immensità di Dio?