View from the Artist's Window, by Martinus Rørbye
Gabriele D'Annunzio

La spica

Laudata sia la spica nel meriggio!
Ella s’inclina al Sole che la cuoce,
verso la terra onde umida erba nacque;
s’inclina e più s’inclinerà domane
verso la terra ove sarà colcata
col gioglio ch’è il malvagio suo fratello,
con la vena selvaggia
col cìano cilestro
col papavero ardente,
cui l’uom non seminò, in un mannello.
 
È di tal purità che pare immune,
sol nata perché l’occhio uman la miri;
di sì bella ordinanza che par forte.
Le sue granella sono ripartite
con la bella ordinanza che c’insegna
il velo della nostra madre Vesta.
Tre son per banda alterne;
minore è il granel medio;
ciascuno ha la sua pula;
d’una squammetta nasce la sua resta.
 
Matura anco non è. Verde è la resta
dove ha il suo nascimento dalla squamma,
 
però tutt’oro ha la pungente cima.
E verdi lembi ha la già secca spoglia
ove il granello a poco a poco indura
ed assume il color della focaia.
E verdeggia il fistuco
di pallido verdore
ma la stìpula è bionda.
S’odon le bestie rassodare l’aia.
 
Dice il veglio: “Ne’ luoghi maremmani
già gli uomini cominciano segare.
E in alcuna contrada hanno abbicato.
Tu non comincerai, se tu non veda
tutto il popolo eguale della messe
egualmente risplender di rossore.
E la spica s’arrossa.
Brilla il fil nella falce,
negreggia il rimanente,
di stoppia incenerita è il suo colore.
 
E prima la sudata mano e poi
il ferro sentirà nel suo fistuco
la spica; e in lei saran le sue granella,
in lei sarà la candida farina
che la pasta farà molto tegnente
e farà pane che molto ricresce.
 
Ma la vena selvaggia
ma il cìano cilestro
ma il papavero ardente
con lei cadranno, ahi, vani su le secce.
 
E la vena pilosa, or quasi bianca,
è tutta lume e levità di grazia;
e il cìano rassembra santamente
gli occhi cesii di Palla madre nostra;
e il papavero è come il giovenile
sangue che per ispada spiccia forte;
e tutti sono belli,
belli sono e felici
e nel giorno innocenti;
e l’uom non si dorrà di loro sorte.
 
E saranno calpesti e della dolce
suora, che tanto amarono vicina,
che sonar per le reste quasi esigua
cítara al vento udirono, disgiunti;
e sparsi moriran senza compianto
perché non dànno il pane che nutrica.
Ma la vena selvaggia
e il cìano cilestro
e il papavero ardente
laudati sien da noi come la spica!
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