Gabriele D'Annunzio

Art poétique

Dèspota, andammo e combattemmo, sempre
fedeli al tuo comandamento. Vedi
che l’armi e i polsi eran di buone tempre.
 
O magnanimo Dèspota, concedi
al buon combattitor l’ombra del lauro,
ch’ei senta l’erba sotto i nudi piedi,
 
ch’ei consacri il suo bel cavallo sauro
alla forza dei Fiumi e in su l’aurora
ei conosca la gioia del Centauro.
 
O Dèspota, ei sarà giovine ancóra!
Dàgli le rive i boschi i prati i monti
i cieli, ed ei sarà giovine ancóra
 
Deterso d’ogni umano lezzo in fonti
gelidi, ei chiederà per la sua festa
sol l’anello degli ultimi orizzonti
 
I vènti e i raggi tesseran la vesta
nova, e la carne scevra d’ogni male
éntrovi balzerà leggera e presta.
 
Tu 'l sai: per t’obbedire, o Trionfale,
sí lungamente fummo a oste, franchi
e duri; né il cor disse mai “Che vale?”
 
disperato di vincere; né stanchi
mai apparimmo, né mai tristi o incerti,
ché il tuo volere ci fasciava i fianchi.
 
O Maestro, tu 'l sai: fu per piacerti.
Ma greve era l’umano lezzo ed era
vile talor come di mandre inerti;
 
e la turba faceva una Chimera
opaca e obesa che putiva forte
sí che stretta era all’afa la gorgiera.
 
Gli aspetti della Vita e della Morte
invano balenavan sul carname
folto, e gli enimmi dell’oscura sorte.
 
Non era pane a quella bassa fame
la bellezza terribile; onde il tardo
bruto mugghiava irato sul suo strame.
 
Pur, lieta maraviglia, se alcun dardo
tutt’oro gli giungea diritto insino
ai precordii, oh il suo fremito gagliardo!
 
E tu dicevi in noi: "Quel ch’è divino
si sveglierà nel faticoso mostro.
Bàttigli in fronte il novo suo destino".
 
E noi perseverammo, col cuor nostro
ardente, per piacerti, o Imperatore;
e su noi non potè ugna nè rostro.
 
Ma ne sorse per mezzo al chiuso ardore
la vena inestinguibile e gioconda
del riso, che sonò come clangore.
 
E ad ogni ingiuria della bestia immonda
scaturiva più vivido e più schietto
tal cristallo dall’anima profonda.
 
Erma allegrezza! Fin lo schiavo abietto,
sfumato con le miche del convito,
lungi rauco latrava il suo dispetto;
 
e l’obliqio lenone, imputridito
nel vizio suo, dal lubrico angiporto
con abominio ci segnava a dito.
 
O Dèspota, tu dài questo conforto
al cuor possente, cui l’oltraggio èlode
e assillo di virtù ricever torto.
 
Ei nella solitudine si gode
sentendo sé come inesausto fonte
Dedica l’opre al Tempo; e ciò non ode.
 
Ammonisti l’alunno: “Se hai man pronte,
non iscegliere i vermini nel fimo
ma strozza i serpi di Laocoonte”.
 
Ed ei seguì l’ammonimento primo;
restò fedele ai tuoi comandamenti;
fiso fu ne’ tuoi segni a sommo e ad imo.
 
Dèspota, or tu concedigli che allenti
il nervo ed abbandoni gli ebri spirti
alle voraci melodíe dei vènti!
 
Assai si travagliò per obbedirti.
Scorse gli Eroi su i prati d’asfodelo.
Or ode i Fauni ridere tra i mirti.
 
l’Estate ignuda ardendo a mezzo il cielo.
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