Quel prigioniero augel, che dolci e scorte
Note apprendea dal tuo soave canto,
Morendo in sen ti giacque, e dal tuo pianto
Bello onore ebbe poi: felice morte!
Io, cigno in mia prigion (né scorno apporte
S’ardito è pur ne la mia lingua il vanto),
Quel che mi detta Amore imparo e canto
Ma con diversa e più dogliosa sorte.
Muoio sovente, e ’l modo è via piú fero;
Perché al martir rinasco, e ’n sí bel grembo
Non però trovo mai tomba o feretro;
E i lumi ch’irrigâr con largo nembo
Un che passò da gl’Indi a noi straniero,
Scarsi mi son, né stilla io piú n’impetro.