Antonia Pozzi (Milano, 13 febbraio 1912 – Milano, 3 dicembre 1938) è stata una poetessa italiana. Biografia Figlia di Roberto Pozzi, importante avvocato milanese, e della contessa Lina Cavagna Sangiuliani, nipote di Tommaso Grossi, Antonia scrive le prime poesie ancora adolescente. Studia nel liceo classico Manzoni di Milano, dove intreccia con il suo professore di latino e greco, Antonio Maria Cervi, una relazione che verrà interrotta nel 1933 forse a causa di forti ingerenze da parte dei suoi genitori. Nel 1930 si iscrive alla facoltà di filologia dell’Università statale di Milano, frequentando coetanei quali Vittorio Sereni, suo amico fraterno, Enzo Paci, Luciano Anceschi, Remo Cantoni, e segue le lezioni del germanista Vincenzo Errante e del docente di estetica Antonio Banfi, forse il più aperto e moderno docente universitario italiano del tempo, col quale si laurea nel 1935 discutendo una tesi su Gustave Flaubert. Tiene un diario e scrive lettere che manifestano i suoi molteplici interessi culturali, coltiva la fotografia, ama le lunghe escursioni in bicicletta, progetta un romanzo storico sulla Lombardia, studia tedesco, francese e inglese viaggia, pur brevemente, oltre che in Italia, in Francia, Austria, Germania e Inghilterra, ma il suo luogo prediletto è la settecentesca villa di famiglia, a Pasturo, ai piedi delle Grigne, nella provincia di Lecco, dove si trova la sua biblioteca e dove studia, scrive a contatto con la natura solitaria e severa della montagna. Di questi luoghi si trovano descrizioni, sfondi ed echi espliciti nelle sue poesie; mai invece descrizioni degli eleganti ambienti milanesi, che pure conosceva bene. La grande italianista Maria Corti, che la conobbe all’università, disse che «il suo spirito faceva pensare a quelle piante di montagna che possono espandersi solo ai margini dei crepacci, sull’orlo degli abissi. Era un’ipersensibile, dalla dolce angoscia creativa, ma insieme una donna dal carattere forte e con una bella intelligenza filosofica; fu forse preda innocente di una paranoica censura paterna su vita e poesie. Senza dubbio fu in crisi con il chiuso ambiente religioso familiare. La terra lombarda amatissima, la natura di piante e fiumi la consolava certo più dei suoi simili». Avvertiva certamente il cupo clima politico italiano ed europeo: le leggi razziali del 1938 colpirono alcuni dei suoi amici più cari: «forse l’età delle parole è finita per sempre», scrisse quell’anno a Sereni. A soli ventisei anni si tolse la vita mediante barbiturici in una sera di dicembre del 1938, nel prato antistante all’abbazia di Chiaravalle: nel suo biglietto di addio ai genitori parlò di «disperazione mortale»; la famiglia negò la circostanza «scandalosa» del suicidio, attribuendo la morte a polmonite. Il testamento della Pozzi fu distrutto dal padre, che manipolò anche le sue poesie, scritte su quaderni e allora ancora tutte inedite. È sepolta nel piccolo cimitero di Pasturo: il monumento funebre, un Cristo in bronzo, è opera dello scultore Giannino Castiglioni. La poesia Parte dal crepuscolarismo di Sergio Corazzini: «Appoggiami la testa sulla spalla / che ti carezzi con un gesto lento [...] Lascia ch’io sola pianga, se qualcuno / suona, in un canto, qualche nenia triste» per poi interiorizzarlo: «vivo della poesia come le vene vivono del sangue», scrive. E infatti cerca di esprimere con le parole l’autenticità dell’esistenza, non trovando verità nella propria. Quanto riservata e rigorosa fu la sua breve vita, altrettanto le sue parole, secondo la lezione ermetica, «sono asciutte e dure come i sassi» o «vestite di veli bianchi strappati», ridotte al «minimo di peso», come le descrisse Montale, parole che trasferiscono peso e sostanza alle immagini, per liberare l’animo oppresso ed effondere il sentimento nelle cose trasfigurate. Dall’espressionismo tedesco trae atmosfere desolate e inquietanti:«le corolle dei dolci fioriinsabbiate.Forse nella nottequalche ponte verràsommerso.Solitudine e pianto –solitudine e piantodei larici» oppure:«All’alba pallidi vedemmo le rondinisui fili fradici immotespiare cenni arcani di partenza» o anche: «Petali violami raccoglievi in gremboa sera:quando batté il cancelloe fu oscurala via del ritorno» La crisi di un’epoca s’intreccia alla sua tragedia personale e se, come scrisse in una lettera, «la poesia ha questo compito sublime: di prendere tutto il dolore che ci spumeggia e ci rimbalza nell’anima e di placarlo, di trasfigurarlo nella suprema calma dell’arte, così come sfociano i fiumi nella celeste vastità del mare», quel dolore non si placa nella sua poesia ma, come un fiume carsico, ora vi circola sotterraneo e ora emerge e tracima, sommergendo l’espressione poetica nel modo stesso in cui travolse la sua vita. Antonia Pozzi nel cinema Antonia Pozzi è stata raccontata nel cine-documentario della regista milanese Marina Spada Poesia che mi guardi, presentato fuori concorso alla 66ª Mostra del Cinema di Venezia, tenutasi nel 2009. In occasione del centenario della nascita della poetessa, i registi lecchesi Sabrina Bonaiti e Marco Ongania hanno realizzato un film documentario prodotto da Emofilm intitolato “Il cielo in me. Vita irrimediabile di una poetessa”, presentato in anteprima a Lecco e Pasturo nel marzo 2014.Il 19 febbraio 2016 esce in sala al Cinema Mexico di Milano il film sulla sua vita intitolato “Antonia” di Ferdinando Cito Filomarino, con Linda Caridi nel ruolo di Antonia Pozzi. È citata in Chiamami col tuo nome, uscito nel 2017, dal personaggio di Marzia (Esther Garrel) che riceve un libro di sue poesie dal protagonista, Elio (Timothée Chalamet). Nel film, ambientato nell’estate del 1983, Elio dona a Marzia una copia dell’edizione Garzanti di Parole curata da Alessandra Cenni e Onorina Dino per la collana Poesia. Questa edizione nella realtà è comparsa per la prima volta nel 1989.
Francesco Petrarca (Arezzo, 20 luglio 1304 – Arquà, 19 luglio 1374) è stato uno scrittore, poeta, filosofo e filologo italiano, considerato il precursore dell’umanesimo e uno dei fondamenti della letteratura italiana, soprattutto grazie alla sua opera più celebre, il Canzoniere, patrocinato quale modello di eccellenza stilistica da Pietro Bembo nei primi del Cinquecento.
Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo, 9 settembre 1908 – Torino, 27 agosto 1950) è stato uno scrittore, poeta, traduttore e critico letterario italiano. Viene considerato uno dei maggiori intellettuali italiani del XX secolo. Biografia L’infanzia Cesare Pavese nacque a Santo Stefano Belbo, un paesino delle Langhe sito nella provincia di Cuneo, presso il cascinale di San Sebastiano, dove la famiglia soleva trascorrere le estati, il 9 settembre del 1908. Il padre, Eugenio Pavese, originario anch’egli di Santo Stefano Belbo, era cancelliere presso il Palazzo di Giustizia di Torino, dove risiedeva con la moglie, Fiorentina Consolina Mesturini, proveniente da una famiglia di abbienti commercianti originari di Ticineto (in provincia di Alessandria), e la primogenita Maria (nata nel 1902), in un appartamento in via XX Settembre 79. Malgrado l’agiatezza economica, l’infanzia di Pavese non fu felice: una sorella e due fratelli, nati prima di lui, erano morti prematuramente. La madre, di salute cagionevole, dovette affidarlo, appena nato, a una balia del vicino paese di Montecucco e poi, quando lo riprese con sé a Torino, a un’altra balia, Vittoria Scaglione. Il padre morì di un cancro al cervello il 2 gennaio del 1914; Cesare aveva cinque anni. Come è stato scritto, «c’erano già tutti i motivi – familiari e affettivi – per far crescere precocemente il piccolo Cesare [...] per una preistoria umana e letteraria che avrebbe accompagnato e segnato la vita dello scrittore». La madre, di carattere autoritario, dovette allevare da sola i due figli: la sua educazione rigorosa contribuì ad accentuare il carattere già introverso e instabile di Cesare. Gli studi Nell’autunno dello stesso 1914, la sorella si ammalò di tifo e la famiglia dovette rimanere a Santo Stefano Belbo, dove Cesare frequentò la prima elementare; le altre quattro classi del ciclo le compì a Torino nell’istituto privato “Trombetta” di via Garibaldi. Come scrive Armanda Guiducci, «S. Stefano fu il luogo della sua memoria e immaginazione; il luogo reale della sua vita, per quarant’anni, fu Torino». Lungo lo stradone che da Santo Stefano Belbo porta a Canelli, nella bottega del falegname Scaglione, Cesare conobbe Pinolo, il più piccolo dei figli del falegname, che descriverà in alcune opere, soprattutto La luna e i falò (come Nuto) e a cui rimarrà sempre legato. Nel 1916 la madre, non riuscendo più a sostenere la gestione dei mezzadri e le spese, decise di vendere la cascina di San Sebastiano e andare a vivere con i figli in una villetta nella località collinare di Reaglie. A Torino Cesare frequentò le scuole medie presso l’Istituto Sociale dei gesuiti, poi si iscrisse al Liceo classico Cavour dove scelse il ginnasio con l’indirizzo moderno (Liceo moderno), che non prevedeva lo studio della lingua greca. Incominciò ad appassionarsi alla letteratura, in particolare ai romanzi di Guido da Verona e di Gabriele D’Annunzio. Con il compagno di studi Mario Sturani incominciò un’amicizia durata tutta la vita e prese a frequentare la Biblioteca Civica, scrivendo i primi versi. Nell’ottobre 1923 Pavese si iscrisse al liceo D’Azeglio e scoprì, in particolare, l’opera di Alfieri. Trascorse gli anni di liceo tra i primi amori adolescenziali e le amicizie, come quella con Tullio Pinelli, cui farà leggere per primo il dattiloscritto di Paesi tuoi e scriverà una lettera prima del suicidio. Cesare rimase a lungo a casa da scuola a causa di una pleurite che si era preso rimanendo a lungo sotto la pioggia per aspettare una cantante ballerina di varietà in un locale frequentato dagli studenti, della quale si era innamorato. Era il 1925 e frequentava la seconda liceo. L’anno seguente fu scosso profondamente dalla tragica morte di un suo compagno di classe, Elico Baraldi, che si era tolto la vita con un colpo di rivoltella. Pavese ebbe la tentazione di emulare quel gesto, come testimonia la poesia inviata il 9 gennaio 1927 all’amico Sturani. Il suo insegnante di italiano e latino fu l’antifascista Augusto Monti, che gli insegnò un metodo rigoroso di studio improntato all’estetica crociana frammista ad alcune concezioni di De Sanctis. Nel 1926, conseguita la maturità liceale, inviò alla rivista “Ricerca di poesia” alcune liriche, che furono però respinte. Si iscrisse intanto alla Facoltà di lettere dell’Università di Torino e continuò a scrivere e a studiare con grande fervore l’inglese, appassionandosi alla lettura di Sherwood Anderson, Sinclar Lewis e soprattutto Walt Whitman, mentre le sue amicizie si allargarono a coloro che diventeranno, in seguito, intellettuali antifascisti di spicco: Leone Ginzburg, Norberto Bobbio, Massimo Mila e Giulio Einaudi. L’interesse per la letteratura americana divenne sempre più rilevante e così incominciò ad accumulare materiale per la sua tesi di laurea, mentre proseguivano i timidi amori permeati dalla sua visione angelicante della donna. Intanto si immergeva sempre più nella vita cittadina, e così scriveva all’amico Tullio Pinelli: Leggendo Babbit di Sinclair Lewis, Pavese volle capire a fondo lo slang. Incominciò così una fitta corrispondenza con un giovane musicista italoamericano, Antonio Chiuminatto, conosciuto qualche anno prima a Torino, che lo aiutò ad approfondire l’americano a lui più contemporaneo. Così scrisse al corrispondente d’oltreoceano: Negli anni successivi, proseguì gli studi con passione, scrisse versi e lesse molto, soprattutto autori americani come Hemingway, Lee Masters, Cummings, Lowell, e la Stein; incominciò a tradurre per l’editore Bemporad Our Mr. Wrenn di Sinclair Lewis e scrisse per Arrigo Cajumi, membro del comitato direttivo della rivista “La Cultura”, il suo primo saggio sull’autore di Babbitt, cominciando così la serie detta Americana. Nel 1930 presentò la sua tesi di laurea “Sulla interpretazione della poesia di Walt Whitman” ma Federico Oliviero, il professore con il quale doveva discuterla, la rifiutò all’ultimo momento perché troppo improntata all’estetica crociana e quindi scandalosamente liberale per l’età fascista. Intervenne però Leone Ginzburg: la tesi venne così accettata dal professore di Letteratura francese Ferdinando Neri e Pavese poté laurearsi con 108/110. L’attività di traduttore e l’insegnamento Nello stesso anno morì la madre e Pavese rimase ad abitare nella casa materna con la sorella Maria, dove visse fino al penultimo giorno della sua vita e incominciò, per guadagnare, l’attività di traduttore in modo sistematico alternandola all’insegnamento della lingua inglese. Per un compenso di 1000 lire tradusse Moby Dick di Herman Melville e Riso nero di Anderson. Scrisse un saggio sullo stesso Anderson e, ancora per “La Cultura”, un articolo sull’Antologia di Spoon River, uno su Melville e uno su O. Henry. Risale a questo stesso anno la prima poesia di Lavorare stanca. Ottenne anche alcune supplenze nelle scuole di Bra, Vercelli e Saluzzo e incominciò anche a impartire lezioni private e a insegnare nelle scuole serali. Nel periodo che va dal settembre 1931 al febbraio 1932 Pavese compose un ciclo di racconti e poesie dal titolo Ciau Masino rimasto a lungo inedito, che verrà pubblicato per la prima volta nel 1968 in edizione fuori commercio e contemporaneamente nel primo volume dei Racconti delle “Opere di Cesare Pavese”. Nel 1933, per poter insegnare nelle scuole pubbliche si arrese, pur malvolentieri, alle insistenze della sorella e di suo marito e si iscrisse al partito nazionale fascista, cosa che rimprovererà più tardi alla sorella Maria in una lettera del 29 luglio 1935 scritta dal carcere di Regina Coeli: “A seguire i vostri consigli, e l’avvenire e la carriera e la pace ecc., ho fatto una prima cosa contro la mia coscienza”. Continuava intanto l’attività di multilingua, che terminò solamente nel 1947. Nel 1933 tradusse Il 42º parallelo di John Dos Passos e Ritratto dell’artista da giovane di James Joyce. Ebbe inizio in questo periodo un tormentato rapporto sentimentale con Tina Pizzardo, la “donna dalla voce rauca” alla quale dedicherà i versi di Incontro nella raccolta Lavorare stanca. L’incarico all’Einaudi Giulio Einaudi aveva intanto fondato la sua casa editrice. Le due riviste, “La riforma sociale” di Luigi Einaudi e “La Cultura”, che era stata concepita da Cesare De Lollis e in quel momento era diretta da Cajumi, si fusero dando vita a una nuova “La Cultura” della quale doveva diventare direttore Leone Ginzburg. Ma molti partecipanti del movimento "Giustizia e Libertà", tra cui anche Ginzburg, all’inizio del 1934 vennero arrestati e la direzione della rivista passò a Sergio Solmi. Pavese, intanto, fece domanda alla casa editrice per poter sostituire Ginzburg e, dal maggio di quell’anno, essendo egli tra i meno compromessi politicamente, incominciò la collaborazione con l’Einaudi dirigendo per un anno “La Cultura” e curando la sezione di etnologia. Sempre nel 1934, grazie alla raccomandazione di Ginzburg, riuscì a inviare ad Alberto Carocci, direttore a Firenze della rivista Solaria, le poesie di Lavorare stanca che vennero lette da Elio Vittorini con parere positivo tanto che Carocci ne decise la pubblicazione. L’arresto e la condanna per antifascismo Nel 1935 Pavese, intenzionato a proseguire nell’insegnamento, si dimise dall’incarico all’Einaudi e incominciò a prepararsi per affrontare il concorso di latino e greco ma, il 15 maggio, una delazione dello scrittore Dino Segre portò agli arresti di intellettuali aderenti a "Giustizia e Libertà", venne fatta una perquisizione nella casa di Pavese, sospettato di frequentare il gruppo di intellettuali a contatto con Ginzburg, e venne trovata, tra le sue carte, una lettera di Altiero Spinelli detenuto per motivi politici nel carcere romano. Accusato di antifascismo, Pavese venne arrestato e incarcerato dapprima alle Nuove di Torino, poi a Regina Coeli a Roma e, in seguito al processo, venne condannato a tre anni di confino a Brancaleone Calabro. Ma Pavese, in realtà, era innocente, poiché la lettera trovata era rivolta a Tina Pizzardo, la “donna dalla voce rauca” della quale era innamorato. Tina era però politicamente impegnata e iscritta al Partito comunista d’Italia clandestino e continuava ad avere contatti epistolari con Spinelli e le lettere pervenivano a casa di Pavese che le aveva permesso di utilizzare il suo indirizzo. Il 4 agosto 1935 Pavese giunse quindi in Calabria, a Brancaleone, e qui scrisse ad Augusto Monti «Qui i paesani mi hanno accolto umanamente, spiegandomi che, del resto, si tratta di una loro tradizione e che fanno così con tutti. Il giorno lo passo “dando volta”, leggicchio, ristudio per la terza volta il greco, fumo la pipa, faccio venir notte; ogni volta indignandomi che, con tante invenzioni solenni, il genio italico non abbia ancora escogitato una droga che propini il letargo a volontà, nel mio caso per tre anni. Per tre anni! Studiare è una parola; non si può niente che valga in questa incertezza di vita, se non assaporare in tutte le sue qualità e quantità più luride la noia, il tedio, la seccaggine, la sgonfia, lo spleen e il mal di pancia. Esercito il più squallido dei passatempi. Acchiappo le mosche, traduco dal greco, mi astengo dal guardare il mare, giro i campi, fumo, tengo lo zibaldone, rileggo la corrispondenza dalla patria, serbo un’inutile castità». Nell’ottobre di quell’anno aveva incominciato a tenere quello che nella lettera al Lajolo definisce lo “zibaldone”, cioè un diario che diventerà in seguito Il mestiere di vivere e aveva fatto domanda di grazia, con la quale ottenne il condono di due anni. Nel 1936, durante il suo confino, venne pubblicata la prima edizione della raccolta poetica Lavorare stanca che, malgrado la forma fortemente innovativa, passò quasi inosservata. Il ritorno a Torino Verso la fine del 1936, terminato l’anno di confino, Pavese fece ritorno a Torino e dovette affrontare la delusione di sapere che Tina stava per sposarsi con un altro e che le sue poesie erano state ignorate. Per guadagnarsi da vivere riprese il lavoro di traduttore e nel 1937 tradusse Un mucchio di quattrini (The Big Money) di John Dos Passos per Mondadori e Uomini e topi di Steinbeck per Bompiani. Dal 1º maggio accettò di collaborare, con un lavoro stabile e per lo stipendio di mille lire al mese, con la Einaudi, per le collane “Narratori stranieri tradotti” e “Biblioteca di cultura storica”, traducendo Fortune e sfortune della famosa Moll Flanders di Defoe e l’anno dopo La storia e le personali esperienze di David Copperfield di Dickens oltre all’Autobiografia di Alice Toklas della Stein. Il passaggio alla prosa Nel frattempo incominciò a scrivere i racconti che verranno pubblicati postumi, dapprima nella raccolta “Notte di festa” e in seguito nel volume de I racconti e fra il 27 novembre del 1936 e il 16 aprile del 1939 completò la stesura del suo primo romanzo breve tratto dall’esperienza del confino intitolato Il carcere (il primo titolo era stato Memorie di due stagioni) che verrà pubblicato dieci anni dopo. Dal 3 giugno al 16 agosto scrisse Paesi tuoi che verrà pubblicato nel 1941 e sarà la prima opera di narrativa dello scrittore data alle stampe. Si andava intanto intensificando, dopo il ritorno dal confino di Leone Ginzburg da Pizzoli, negli Abruzzi, l’attività del gruppo clandestino di "Giustizia e Libertà" e quella dei comunisti con a capo Ludovico Geymonat. Pavese, che era chiaramente antifascista, venne coinvolto e, al di qua di una precisa e dichiarata definizione politica, incominciò ad assistere con crescente interesse alle frequenti discussioni che avvenivano a casa degli amici. Conobbe in questo periodo Giaime Pintor che collaborava ad alcune riviste letterarie ed era inserito alla Einaudi come traduttore dal tedesco e come consulente e nacque tra loro una salda amicizia. Il periodo della guerra Nel 1940 l’Italia era intanto entrata in guerra e Pavese era coinvolto in una nuova avventura sentimentale con una giovane universitaria che era stata sua allieva al liceo D’Azeglio e che gli era stata presentata da Norberto Bobbio. La ragazza, giovane e ricca di interessi culturali, si chiamava Fernanda Pivano e colpì lo scrittore a tal punto che il 26 luglio le propose il matrimonio; malgrado il rifiuto della giovane, l’amicizia continuò. Alla Pivano Pavese dedicò alcune poesie, tra le quali Mattino, Estate e Notturno, che inserì nella nuova edizione di Lavorare stanca. Lajolo scrive che "Per cinque anni Fernanda fu la sua confidente, ed è in lei che Pavese tornò a sperare per avere una casa ed un amore. Ma anche quella esperienza – così diversa – si concluse per lui con un fallimento. Sul frontespizio di Feria d’agosto sono segnate due date: 26 luglio 1940, 10 luglio 1945, che ricordano le due domande di matrimonio fatte a Fernanda, con le due croci che rappresentano il significato delle risposte". In quell’anno Pavese scrisse La bella estate (il primo titolo sarà La tenda), che verrà pubblicato nel 1949 nel volume dal titolo omonimo che comprende anche i romanzi brevi Il diavolo sulle colline e Tra donne sole; tra il 1940 e il 1941 scrisse La spiaggia, che vedrà una prima pubblicazione nel 1942 su “Lettere d’oggi” di Giambattista Vicari. Nel 1941, con la pubblicazione di Paesi tuoi, e quindi l’esordio narrativo di Pavese, la critica sembrò accorgersi finalmente dell’autore. Intanto, nel 1942, Pavese venne regolarmente assunto dalla Einaudi con mansioni di impiegato di prima categoria e con il doppio dello stipendio sulla base del contratto nazionale collettivo di lavoro dell’industria. Nel 1943 Pavese venne trasferito per motivi editoriali a Roma dove gli giunse la cartolina di precetto ma, a causa della forma d’asma di origine nervosa di cui soffriva, dopo sei mesi di convalescenza all’Ospedale militare di Rivoli venne dispensato dalla leva militare e ritornò a Torino che nel frattempo aveva subito numerosi bombardamenti e che trovò deserta dai numerosi amici, mentre sulle montagne si stavano organizzando le prime formazioni partigiane. Nel 1943, dopo l’8 settembre, Torino venne occupata dai tedeschi e anche la casa editrice venne occupata da un commissario della Repubblica sociale italiana. Pavese, a differenza di molti suoi amici che si preparavano alla lotta clandestina, si rifugiò a Serralunga di Crea, piccolo paese del Monferrato, dov’era sfollata la sorella Maria e dove strinse amicizia con il conte Carlo Grillo, che diventerà il protagonista de Il diavolo sulle colline. A dicembre, per sfuggire a una retata da parte dei repubblichini e dei tedeschi, chiese ospitalità presso il Collegio Convitto dei padri Somaschi di Casale Monferrato dove, per sdebitarsi, dava ripetizioni agli allievi. Leggeva e scriveva apparentemente sereno. Il 1º marzo, mentre si trovava ancora a Serralunga, gli giunse la notizia della tragica morte di Leone Ginzburg avvenuta sotto le torture nel carcere di Regina Coeli. Il 3 marzo scriverà: «L’ho saputo il 1º marzo. Esistono gli altri per noi? Vorrei che non fosse vero per non star male. Vivo come in una nebbia, pensandoci sempre ma vagamente. Finisce che si prende l’abitudine a questo stato, in cui si rimanda sempre il dolore vero a domani, e così si dimentica e non si è sofferto». Gli anni del dopoguerra (1945-1950) L’iscrizione al Partito comunista e l’attività a "L’Unità" Ritornato a Torino dopo la liberazione, venne subito a sapere che tanti amici erano morti: Giaime Pintor era stato dilaniato da una mina sul fronte dell’avanzata americana; Luigi Capriolo era stato impiccato a Torino dai fascisti e Gaspare Pajetta, un suo ex allievo di soli diciotto anni, era morto combattendo nella Val d’Ossola. Dapprima, colpito indubbiamente da un certo rimorso, che ben espresse in seguito nei versi del poemetto La terra e la morte e in tante pagine dei suoi romanzi, egli cercò di isolarsi dagli amici rimasti ma poco dopo decise di iscriversi al Partito comunista incominciando a collaborare al quotidiano l’Unità; ne darà notizia da Roma, dove era stato inviato alla fine di luglio per riorganizzare la filiale romana della Einaudi, il 10 novembre all’amico Massimo Mila: «Io ho finalmente regolato la mia posizione iscrivendomi al PCI». Come scrive l’amico Lajolo, «La sua iscrizione al partito comunista oltre ad un fatto di coscienza corrispose certamente anche all’esigenza che sentiva di rendersi degno in quel modo dell’eroismo di Gaspare e degli altri suoi amici che erano caduti. Come un cercare di tacitare i rimorsi e soprattutto di impegnarsi almeno ora in un lavoro che ne riscattasse la precedente assenza e lo ponesse quotidianamente a contatto con la gente... Tentava con quel legame anche disciplinare, di rompere l’isolamento, di collegarsi, di camminare assieme agli altri. Era l’ultima risorsa alla quale si aggrappava per imparare il mestiere di vivere». Nei mesi trascorsi presso la redazione de L’Unità conobbe Italo Calvino, che lo seguì alla Einaudi e ne divenne da quel momento uno dei più stimati collaboratori e Silvio Micheli che era giunto a Torino nel giugno del 1945 per parlare con Pavese della pubblicazione del proprio romanzo Pane duro. Alla sede romana della Einaudi Verso la fine del 1945, Pavese lasciò Torino per Roma dove ebbe l’incarico di potenziare la sede cittadina dell’Einaudi. Il periodo romano, che durò fino alla seconda metà del 1946, fu considerato dallo scrittore come un tempo d’esilio perché staccarsi dall’ambiente torinese, dagli amici e soprattutto dalla nuova attività politica, lo fece ricadere nella malinconia. Nella segreteria della sede romana lavorava una giovane donna, Bianca Garufi, e per lei Pavese provò una nuova passione, più impegnativa dell’idillio con la Pivano, che egli visse intensamente e che lo fece soffrire. Scriverà nel suo diario, il 1º gennaio del 1946, come consuntivo dell’anno trascorso: «Anche questa è finita. Le colline, Torino, Roma. Bruciato quattro donne, stampato un libro, scritte poesie belle, scoperta una nuova forma che sintetizza molti filoni (il dialogo di Circe). Sei felice? Sì, sei felice. Hai la forza, hai il genio, hai da fare. Sei solo. Hai due volte sfiorato il suicidio quest’anno. Tutti ti ammirano, ti complimentano, ti ballano intorno. Ebbene? Non hai mai combattuto, ricordalo. Non combatterai mai. Conti qualcosa per qualcuno?». Nel febbraio del 1946, in collaborazione con Bianca Garufi, a capitoli alterni, incominciò a scrivere un romanzo che rimarrà incompiuto e che sarà pubblicato postumo nel 1959 con il titolo, scelto dall’editore, di Fuoco grande. A Torino: la Collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici Ritornato a Torino si mise a lavorare su quei temi delineatisi nella mente quando era a Serralunga. Incominciò a comporre i Dialoghi con Leucò e nell’autunno, mentre stava terminando l’opera, scrisse i primi capitoli de Il compagno con il quale volle testimoniare l’impegno per una precisa scelta politica. Terminati i Dialoghi, in attesa della pubblicazione del libro che avvenne a fine novembre nella collana “Saggi”, tradusse Capitano Smith di Robert Henriques. Il 1947 fu un anno intenso per l’attività editoriale e Pavese s’interessò particolarmente della Collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici da lui ideata con la collaborazione di Ernesto De Martino, una collana che fece conoscere al mondo culturale italiano le opere di autori come Lévy-Bruhl, Malinowski, Propp, Frobenius, Jung, e che avrebbero dato avvio a nuove teorie antropologiche. Oltre a ciò, Pavese inaugurò anche la nuova collana di narrativa dei “Coralli” che era nata in quello stesso anno in sostituzione dei “Narratori contemporanei”. La febbrile attività narrativa Tra il settembre del 1947 e il febbraio del 1948, contemporaneamente a Il compagno, scrisse La casa in collina che uscì l’anno successivo insieme con Il carcere nel volume Prima che il gallo canti il cui titolo, ripreso dalla risposta di Cristo a Pietro, si riferisce, con tono palesemente autobiografico ai suoi tradimenti politici. Seguirà, tra il giugno e l’ottobre del 1948 Il diavolo sulle colline. Nell’estate del 1948 gli era stato intanto assegnato, per Il compagno, il Premio Salento, ma Pavese aveva scritto all’amico Carlo Muscetta di dimissionarlo da qualsiasi premio letterario, presente o futuro. Alla fine dell’anno uscì Prima che il gallo canti, che venne subito elogiato dai critici Emilio Cecchi e Giuseppe De Robertis. Dal 27 marzo al 26 maggio del 1949 scrisse Tra donne sole e, al termine del romanzo, andò a trascorrere una settimana a Santo Stefano Belbo e, in compagnia dell’amico Pinolo Scaglione, a suo agio tra quelle campagne, incominciò a elaborare quella che sarebbe diventata La luna e i falò, l’ultima sua opera pubblicata in vita. Il 24 novembre 1949 venne pubblicato il trittico La bella estate che comprendeva i già citati tre romanzi brevi composti in periodi diversi: l’eponimo del 1940, Il diavolo sulle colline del 1948 e Tra donne sole del 1949. Sempre nel 1949, scritto nel giro di pochi mesi e pubblicato nella primavera del 1950, scrisse La luna e i falò che sarà l’opera di narrativa conclusiva della sua carriera letteraria. A Roma: amore, l’ultimo Dopo essere stato per un brevissimo tempo a Milano, fece un viaggio a Roma dove si trattenne dal 30 dicembre del 1949 al 6 gennaio del 1950, ma rimase deluso: il 1º gennaio scriveva sul suo diario: In questo stato d’animo conobbe in casa di amici Constance Dowling, giunta a Roma con la sorella Doris, che aveva recitato in Riso amaro con Vittorio Gassman e Raf Vallone, e, colpito dalla sua bellezza, se ne innamorò. Ritornando a Torino, cominciò a pensare che, ancora una volta, si era lasciato sfuggire l’occasione, e quando Constance si recò a Torino per un periodo di riposo, i due si rividero e la donna lo convinse ad andare con lei a Cervinia, dove Pavese s’illuse di nuovo. Constance infatti aveva una relazione con l’attore Andrea Checchi e ripartì presto per l’America per tentare fortuna a Hollywood, lasciando lo scrittore amareggiato e infelice. A Constance, come per un addio, dedicò il romanzo La luna e i falò: «For C.– Ripeness is all». Il Premio Strega Nella primavera-estate del 1950 uscì la rivista Cultura e realtà; Pavese, che faceva parte della redazione, aprì il primo numero della rivista con un suo articolo sul mito, nel quale affermava la sua fede poetica di carattere vichiano, la quale non venne apprezzata dagli ambienti degli intellettuali comunisti. Cesare venne attaccato e, sempre più amareggiato, annotò nel suo diario il 15 febbraio «Pavese non è un buon compagno... Discorsi d’intrighi dappertutto. Losche mene, che sarebbero poi i discorsi di quelli che ti stanno più a cuore», e ancora il 20 maggio: «Mi sono impegnato nella responsabilità politica che mi schiaccia.» Pavese era terribilmente depresso e neppure riuscì a risollevarlo il Premio Strega che ricevette nel giugno del 1950 per La bella estate; in quella occasione fu accompagnato da Doris Dowling, sorella dell’amata Constance. La morte Nell’estate 1950 trascorse alcuni giorni a Bocca di Magra, vicino a Sarzana, in Liguria, meta estiva di molti intellettuali, dove conobbe un’allora diciottenne Romilda Bollati, sorella dell’editore Giulio Bollati, appartenente alla nobile famiglia dei Bollati di Saint-Pierre (e futura moglie prima dell’imprenditore Attilio Turati poi del ministro Antonio Bisaglia). I due ebbero una breve storia d’amore, come testimoniano i manoscritti dello scrittore, che la chiamava con lo pseudonimo di “Pierina”. Tuttavia, nemmeno questo nuovo sentimento riuscì a dissipare la sua depressione; in una lettera dell’agosto 1950, scriveva: Il 17 agosto aveva scritto sul diario, pubblicato nel 1952 con il titolo Il mestiere di vivere. Diario 1935-1950: «Questo il consuntivo dell’anno non finito, che non finirò» e il 18 agosto aveva chiuso il diario scrivendo: «Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più».In preda a un profondo disagio esistenziale, tormentato dalla recente delusione amorosa con Constance Dowling, alla quale dedicò i versi di Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, mise prematuramente fine alla sua vita il 27 agosto del 1950, in una camera dell’albergo Roma di Piazza Carlo Felice a Torino, che aveva occupato il giorno prima. Venne trovato disteso sul letto dopo aver ingerito più di dieci bustine di sonnifero. Sulla prima pagina dei Dialoghi con Leucò, che si trovava sul tavolino aveva scritto: «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi». All’interno del libro era inserito un foglietto con tre frasi vergate da lui: una citazione dal libro, «L’uomo mortale, Leucò, non ha che questo d’immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia», una dal proprio diario, «Ho lavorato, ho dato poesia agli uomini, ho condiviso le pene di molti», e «Ho cercato me stesso». Qualche giorno dopo si svolsero i funerali civili, senza commemorazioni religiose poiché suicida e ateo. Opera e poetica Importante fu l’opera di Pavese scrittore di romanzi, poesie e racconti, ma anche quella di traduttore e critico: oltre all’Antologia americana curata da Elio Vittorini, essa comprende la traduzione di classici della letteratura da Moby Dick di Melville, nel 1932, a opere di Dos Passos, Faulkner, Defoe, Joyce e Dickens. Nel 1951 uscì postumo, edito da Einaudi e con la prefazione di Italo Calvino il volume La letteratura americana e altri saggi con tutti i saggi e gli articoli che Pavese scrisse tra il 1930 e il 1950. La sua attività di critico in particolare contribuì a creare, verso la metà degli anni trenta, il sorgere di un certo “mito dell’America”. Lavorando nell’editoria (per la Einaudi) Pavese propose alla cultura italiana scritti su temi differenti, e prima d’allora raramente affrontati, come l’idealismo e il marxismo, inclusi quelli religiosi, etnologici e psicologici. Opere L’elenco è in ordine cronologico in base alla data di pubblicazione delle rispettive prime edizioni. Poiché molti testi furono pubblicati anni dopo essere stati composti, dove opportuno sono segnalate le date di composizione. Raccolte * Racconti, 3 voll., Torino, Einaudi, 1960. [Contiene i racconti editi in Feria d’agosto e Notte di festa con l’aggiunta di frammenti di racconti e racconti inediti] * Tutti i romanzi, a cura di Marziano Guglielminetti, Torino, Einaudi, 2000. ISBN 88-446-0079-X. Tutti i racconti, a cura di Mariarosa Masoero, introduzione di Marziano Guglielminetti, Torino, Einaudi, 2002. ISBN 88-446-0081-1. [Contiene i già editi Racconti, e Ciau Masino, e altri testi già inseriti a partire dall’ed. del 1968 dell’opera omnia. Romanzi e racconti * Paesi tuoi, Torino, Einaudi, 1941. [romanzo] * Prima che il gallo canti, Torino, Einaudi, 1948. [Contiene i romanzi Il carcere, scritto nel 1938-1939, e La casa in collina] * La spiaggia, in “Lettere d’oggi”, a. III, nn. 7-8, 1941; poi in volume, Roma, Ed. Lettere d’oggi, 1942; Torino, Einaudi, 1956. [romanzo breve] * Feria d’agosto, Torino, Einaudi, 1946. [racconti] * Dialoghi con Leucò, Torino, Einaudi, 1947. [racconti: conversazioni a due tra personaggi mitologici] * Il compagno, Torino, Einaudi, 1947. [romanzo] * La casa in collina, Torino, Einaudi, 1948. [romanzo] * La bella estate, Torino, Einaudi, 1949. [Contiene i romanzi: La bella estate (1940), Il diavolo sulle colline e Tra donne sole] * La luna e i falò, Torino, Einaudi, 1950. [romanzo] * Notte di festa, Torino, Einaudi, 1953. [racconti] * Fuoco grande, scritto a capitoli alterni con Bianca Garufi, Torino, Einaudi, 1959. [romanzo incompiuto] * Ciau Masino, Torino, Einaudi, 1968. * Lotte di giovani e altri racconti (1925-1930), a cura di Mariarosa Masoero, Collana Nuovi Coralli, Torino, Einaudi, 1993, ISBN 978-88-061-3200-2. Poesie * Lavorare stanca, Firenze, Solaria, 1936; ed. ampliata con le poesie dal 1936 al 1940, Torino, Einaudi, 1943. La terra e la morte, in “Le tre Venezie”, nn. 4-5-6, 1947; nuova edizione postuma, in Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, Torino, Einaudi, 1951; compreso anche in Poesie edite e inedite, a cura di Italo Calvino, Torino, Einaudi, 1962. [9 poesie] * Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, Torino, Einaudi, 1951. [10 poesie inedite e quelle incluse in La terra e la morte] * Poesie del disamore e altre poesie disperse, Torino, Einaudi, 1962. [Contiene: Poesie del disamore, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, poesie escluse da Lavorare stanca, poesie del 1931‑1940 e due del 1946] * Poesie edite e inedite, a cura di Italo Calvino, Torino, Einaudi, 1962. [Contiene: Lavorare stanca, La terra e la morte, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi e 29 poesie inedite] * 8 poesie inedite e quattro lettere a un’amica (1928-1929), Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1964. * Poesie giovanili, 1923-30, a cura di Attilio Dughera e Mariarosa Masoero, Torino, Einaudi, 1989. Saggi e diari * La letteratura americana e altri saggi, Torino, Einaudi, 1951. [saggi e articoli 1930-1950] * Il mestiere di vivere. Diario 1935-1950, Torino, Einaudi, 1952; nuova edizione condotta sull’autografo a cura di Marziano Guglielminetti e Laura Nay, Einaudi, 1990. ISBN 88-06-11863-3. * Interpretazione della poesia di Walt Whitman. Tesi di laurea, 1930, a cura di Valerio Magrelli, Torino, Einaudi, 2006. [edizione di 1000 esemplari numerati] * Dodici giorni al mare. [Un diario inedito del 1922], a cura di Mariarosa Masoero, Genova, Galata, 2008. ISBN 978-88-95369-04-4. * Il quaderno del confino, a cura di Mariarosa Masoero, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2010. ISBN 978-88-6274-184-2. Sceneggiature * Il diavolo sulle colline; Gioventù crudele, in “Cinema Nuovo”, settembre-ottobre 1959. [soggetti cinematografici] * Il serpente e la colomba. Scritti e soggetti cinematografici, a cura di Mariarosa Masoero, introduzione di Lorenzo Ventavoli, Torino, Einaudi, 2009. ISBN 978-88-06-19800-8. Epistolari * Lettere 1924-1950I, Lettere 1924-1944, a cura di Lorenzo Mondo, Torino, Einaudi, 1966. * II, Lettere 1945-1950, a cura di Italo Calvino, Torino, Einaudi, 1966.Vita attraverso le lettere, a cura di Lorenzo Mondo, Torino, Einaudi, 1973. * C. Pavese-Ernesto De Martino, La collana viola. Lettere 1945-1950, A cura di Pietro Angelini, Torino, Bollati Boringhieri, 1991, ISBN 978-88-339-0529-7. * Officina Einaudi. Lettere editoriali, 1940-1950, a cura di Silvia Savioli, Torino, Einaudi, 2008. ISBN 978-88-06-19352-2. * C. Pavese-Felice Balbo-Natalia Ginzburg, Lettere a Ludovica [Nagel], A cura di Carlo Ginzburg, Milano, Archinto, 2008, ISBN 978-88-776-8517-9. * C. Pavese-Renato Poggioli, «A Meeting of minds». Carteggio (1947-1950), A cura di S. Savioli, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2010, ISBN 978-88-627-4219-1. * Una bellissima coppia discorde. Il carteggio tra Cesare Pavese e Bianca Garufi 1945-1950, a cura di Mariarosa Masoero, Collana Saggi e testi n.20, Firenze, Olschki, 2011, ISBN 978-88-222-6074-1. Traduzioni * Sinclair Lewis, Il nostro signor Wrenn. Storia di un gentiluomo romantico, Firenze, Bemporad, 1931. * Herman Melville, Moby Dick o La balena, Torino, Frassinelli, I ed. 1932; II ed. riveduta, Frassinelli, 1941. * Sherwood Anderson, Riso nero, Torino, Frassinelli, 1932. * James Joyce, Dedalus. Ritratto dell’artista da giovane, Torino, Frassinelli, 1933. * John Dos Passos, Il 42º parallelo, Milano, A. Mondadori, 1934. * John Dos Passos, Un mucchio di quattrini, Milano, A. Mondadori, 1938. * John Steinbeck, Uomini e topi, Milano, Bompiani, 1938. * Gertrude Stein, Autobiografia di Alice Toklas, Torino, Einaudi, 1938. * Daniel Defoe, Fortune e sfortune della famosa Moll Flanders, Torino, Einaudi, 1938. * Charles Dickens, David Copperfield, Torino, Einaudi, 1939. * Christopher Dawson, La formazione dell’unità europea. Dal secolo V al secolo XI, Torino, Einaudi, 1939. * George Macaulay Trevelyan, La rivoluzione inglese del 1688-89, Torino, Einaudi, 1940. * Herman Melville, Benito Cereno, Torino, Einaudi, 1940. * Gertrude Stein, Tre esistenze, Torino, Einaudi, 1940. * Christopher Morley, Il cavallo di Troia, Milano, Bompiani, 1941. * William Faulkner, Il borgo, Milano, A. Mondadori, 1942. * Robert Henriques, Capitano Smith, Torino, Einaudi, 1947. * La Teogonia di Esiodo e Tre Inni omerici, a cura di Attilio Dughera, Collezione di poesia, Torino, Einaudi, 1982. [versione redatta negli anni 1947-1948] * Percy Bysshe Shelley, Prometeo slegato, A cura di Mark Pietralunga, Collezione di poesia n.260, Torino, Einaudi, 1997. [versione redatta nel 1925] * Quinto Orazio Flacco, Le Odi, A cura di Giovanni Barberi Squarotti, Collana Saggi e testi n.21, Firenze, Olschki, 2013, ISBN 978-88-222-6243-1. [versione redatta nel 1926] Francesca Belviso, Amor Fati. Pavese all’ombra di Nietzsche. La volontà di potenza nella traduzione di Cesare Pavese, Introduzione di Angelo D’Orsi, Torino, Aragno, 2016, ISBN 978-88-841-9772-6. [contiene in appendice la versione parziale dell’opera del filosofo tedesco: condotta tra il 1945-1946, fu rifiutata da Einaudi] Riferimenti Wikipedia – https://it.wikipedia.org/wiki/Cesare_Pavese
FLÁVIO EDUARDO PALHARI -( fepalhari71@gmail.com ) . Nascido no Paraná na cidade de Colorado , em 1971 , recebeu toda a influência dos anos 80 . As primeiras escritas vieram aos 15 para uma banda de Rock , seguindo de outras formações e sempre mais composições . Sempre como letrista conquistou um FEMUSIC com a música Pálido nos vocais da Banda Meros Mortais . Mora atualmente em Matogrosso e depois de tempos de memórias engavetadas , está trazendo à vida todas as escritas , poemas e letras que escreveu e ainda escreve . Traz um lado sombrio e irônico nos seus poemas que muitas vezes seguem como composições . Tem pronto aguardando um apoio e uma editora 06 livros "AS ESCADARIAS DO DIABO" , "MUNDO DA LUA" , "DIAS RUIVOS","CÓRTEX CINGULADO INFERIOR" ,"MERGULHADO EM GELATINA","O ÙLTIMO SEGUNDO" este ainda em fase de acabamento e correção . Flávio bebeu muito da fonte punk , pós punk e hardcore , influenciando muito o seu trabalho construindo uma forma de escrita única .
Giovanni Pascoli (San Mauro di Romagna, 31 dicembre 1855 – Bologna, 6 aprile 1912) è stato un poeta, accademico e critico letterario italiano, figura emblematica della letteratura italiana di fine Ottocento. Nonostante la sua formazione eminentemente positivistica, è insieme a Gabriele D’Annunzio il maggior poeta decadente italiano. Dal Fanciullino, articolo programmatico pubblicato per la prima volta nel 1897, emerge una concezione intima e interiore del sentimento poetico, orientato alla valorizzazione del particolare e del quotidiano, e al recupero di una dimensione infantile e quasi primitiva. D’altra parte, solo il poeta può esprimere la voce del “fanciullino” presente in ognuno: quest’idea consente a Pascoli di rivendicare per sé il ruolo, per certi versi ormai anacronistico, di “poeta vate”, e di ribadire allo stesso tempo l’utilità morale (specialmente consolatoria) e civile della poesia.
BIOGRAFIA DI ANTONELLA PEDERIVA - Poeta e Scrittrice Antonella Pederiva è una collaboratrice giornalistica, web citizen journalist, scrittrice e poeta, appassionata di musica, arte, psicologia e filosofia. Nel 2017 dà alle stampe il suo libro d'esordio, “Anima d’aquila” (Alpinia Itinera), 90 poesie scelte a coprire l’arco di una vita. Nel 2019, per Aletti Editore, pubblica “Fiore di Loto” che viene così introdotto da Alessandro Quasimodo, figlio del premio Nobel Salvatore Quasimodo: “ […] una metafora dell’uomo puro in mezzo al fango che non si adatta a degli stereotipi, che non accetta passivamente i dogmi degli altri, ma che si sforza di conoscere, di vivere nel dilemma, in una perenne discussione costruttiva[…]”. Numerosi i concorsi a cui ha partecipato, ottenendo sempre ottimi risultati di classifica e consensi dalla critica, terzo posto al Premio Postumia 1997, diploma d’onore con menzione d’encomio per “Anima d’aquila” al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti di Seravezza (Lucca) 2017, (premio in cui verrà segnalata nel 2018, diploma d’onore con menzione d’encomio anche nel 2019), segnalata al Premio “Il Bottaccio” 2017, finalista, segnalata e premiata con menzione di merito in decine di altri concorsi, tra i quali il Premio Il Tiburtino, il Premio Internazionale Salvatore Quasimodo, Il Premio Internazionale Maria Cumani Quasimodo, Il Premio Internazionale Dostoevskij, Premio La panchina dei versi, Premio Parole in Fuga, Premio Dedicato Giornata Mondiale della Poesia, Premio Habere Artem, Premio Tre colori, Premio Letterario Nativo del Pizzo, Premio Verrà il mattino e avrà un tuo verso, Premio Tra un fiore colto e l’altro donato. Attestato di Merito con medaglia diamantata al Premio Alda Merini 2020, Segnalazione della giuria al Premio SetArt 2023, Premio della Critica al Premio Emozioni in versi 2023. Moltissime anche le antologie in cui è presente con i suoi versi, tra queste, oltre alle antologie dei suddetti premi, anche le antologie del Premio Città di Monza 2017 e 2018, del Premio Città di Montegrotto Terme 2018 e del Premio I poeti dell’Adda 2018. Presto darà alle stampe il suo terzo libro, "La metamorfosi del cuore".
Aldo Palazzeschi, pseudonimo di Aldo Pietro Vincenzo Giurlani (Firenze, 2 febbraio 1885 – Roma, 17 agosto 1974), è stato uno scrittore e poeta italiano, uno dei padri delle avanguardie storiche. Inizialmente firmò le sue opere col suo vero nome, e dal 1905 adottò come pseudonimo il cognome della nonna materna, appunto Palazzeschi. Dalla seconda attività conseguì una ricca produzione letteraria che gli diede fama di rango nazionale. Biografia Nacque da Alberto Giurlani e Amalia Martinelli in via Guicciardini a Firenze; per volontà del padre frequentò gli studi in ragioneria, dedicandosi poi all’arte e alla scrittura. Inizialmente si dedicò alla recitazione: nel 1902 si iscrisse alla regia scuola di recitazione “Tommaso Salvini”. Nelle compagnie teatrali conobbe anche Gabriellino, figlio di Gabriele D’Annunzio. Fu probabilmente proprio la passione teatrale a far sì che l’artista rinunciasse al suo cognome anagrafico assumendo uno pseudonimo. Infatti, il padre non vedeva di buon occhio il fatto che Palazzeschi si dedicasse alla recitazione, tanto meno se questa attività veniva praticata con il nome di famiglia. Con il tempo, Palazzeschi si staccò dall’attività teatrale per dedicare il suo lavoro alla poesia. Grazie all’appoggio finanziario della famiglia, fu in grado di pubblicare le sue raccolte a proprie spese. Fu così che nel 1905 pubblicò il primo libro di poesie, I cavalli bianchi, per un editore immaginario, Cesare Blanc (che in realtà era il nome del suo gatto) con una sede immaginaria in via Calimala 2, Firenze. Tra i componimenti spiccano Ara Mara Amara e Il Pappagallo. La raccolta avvicinava Palazzeschi al Crepuscolarismo tanto per lo stile quanto per i contenuti. Il libro fu recensito in modo positivo dal poeta Sergio Corazzini con il quale Palazzeschi iniziò una fitta corrispondenza, fino alla precoce morte del Corazzini avvenuta nel 1907. La recensione non ebbe però un seguito e il libro rimase praticamente sconosciuto. Dopo circa un anno, alla prima opera seguì Lanterna, che contiene la poesia Comare Coletta. In questa come nella precedente raccolta, i componimenti di Palazzeschi sono oscuri, fiabeschi e ricchi di simboli poco trasparenti. A dispetto della giovane età dell’artista, ricorre ripetutamente nelle poesie il riferimento alla morte, tema che percorre entrambe le raccolte allo stato latente. Altri motivi ricorrenti sono la malattia e la vecchiaia. Il metro è sempre lo stesso: si tratta del trisillabo, dunque di versi ternari, oppure di versi di 6, 9, 12 o più sillabe. La monotonia del ritmo si coniuga perfettamente alla staticità (spaziale e temporale) che caratterizza i due poemi d’esordio del poeta. Nel 1908 pubblicò, sempre presso l’immaginario editore Cesare Blanc, il suo primo romanzo di stile liberty dal titolo: riflessi, ricco di misticismo e religiosità decadenti per quanto concerne la prima parte, inaspettatamente fondato sul registro comico, della cronaca e del pettegolezzo mondano, per quanto riguarda la seconda.Seguì la terza raccolta Poemi, che avrebbe portato per la prima volta Palazzeschi ad un pubblico più ampio. In questa eterogenea opera ricordiamo Chi sono?, Habel Nasshab, nonché Rio Bo. Rispetto a quanto si poteva osservare nelle prime due raccolte, il tono è stavolta più solare. Alcune delle poesie sono inoltre legate tra di loro da una trama, la quale conferisce ai poemi un certo dinamismo. Il verso ternario e il senario ecc. sono ancora quelli privilegiati, ma il rigido schema metrico viene per la prima volta spezzato, in quanto ricorrono versi di tutte le lunghezze. Il gioco ritmico sul trisillabo viene ironicamente portato alle estreme conseguenze nella poesia della Fontana malata. Pare che con il tempo l’artista si attenga sempre di meno a canoni formali di qualsiasi natura. Anche se durante la prima produzione letteraria Palazzeschi gradiva il fatto di restare più o meno nell’anonimato, stavolta la raccolta non passerà inosservata. Il periodo futurista In seguito alla lettura di Poemi Filippo Tommaso Marinetti rimase entusiasta, convinto della creatività di Palazzeschi e alquanto compiaciuto dell’uso del verso libero: Palazzeschi fu dunque invitato a collaborare alla rivista “Poesia”. Pubblicherà la raccolta di poesie l’Incendiario, dedicato “A F.T. Marinetti anima della nostra fiamma”, preceduto dal Rapporto sulla vittoria futurista di Trieste. Nell’estate il volume venne sequestrato a Trento per gli accesi toni interventisti della prefazione. Nella raccolta si ritrova lo scherzoso componimento E lasciatemi divertire, dove il poeta si immagina di recitare la poesia davanti ad un pubblico costernato e scandalizzato. L’8 ottobre Palazzeschi si reca al Tribunale di Milano dove assiste al processo contro Filippo Tommaso Marinetti, accusato di oltraggio al pudore per il romanzo Mafarka il futurista. Il 1911 è l’anno del romanzo Il codice di Perelà. Nell’autunno del 1912 conobbe Ardengo Soffici e Giovanni Papini, impegnati nella preparazione di una nuova rivista (Lacerba) in polemica con Giuseppe Prezzolini, direttore de La Voce. Nel 1914 seguì il manifesto del Controdolore che era apparso in precedenza su Lacerba. Nel marzo del 1914 raggiunse Papini e Soffici a Parigi. Qui Palazzeschi entrò in contatto con artisti come Apollinaire, Léger, Modigliani, Max Jacob, Umberto Boccioni e Ungaretti, che gli mostrò alcune sue composizioni. Nella stessa occasione, in compagnia di Giovanni Papini, si recò nello studio parigino di Pablo Picasso. Palazzeschi iniziò dunque a collaborare intensivamente con il movimento futurista recandosi spesso a Milano e ripubblicando le sue poesie grazie all’appoggio ricevuto. È sorprendente il fatto che le antologie di poeti futuristi includessero anche diversi dei primi componimenti di Palazzeschi, che per il loro tono sommesso e statico erano in gran parte incompatibili con i toni vitali e dinamici dei marinettiani (soprattutto per quanto riguarda le poesie dei Cavalli bianchi). Il fatto che i futuristi abbiano spesso chiuso un occhio davanti a tutto ciò non fa che confermare che Palazzeschi aveva le carte in regola per arrivare ad un notevole successo. In ogni caso, l’interesse di Palazzeschi per il movimento del futurismo non lo portò mai a ricambiare pienamente l’entusiasmo che il gruppo nutriva nei suoi confronti, nonostante fu certamente abbacinato e sconvolto dalla vitalità straordinaria di Marinetti. Il 3 settembre del 1914 si trovò a Roma, in Piazza San Pietro, dove ebbe modo di ascoltare il messaggio di pace del nuovo papa, Benedetto XV. Alla vigilia della grande guerra, i nodi vennero al pettine: Palazzeschi si dichiarò neutrale giudicando retorico l’acceso interventismo che veniva propagandato dal movimento futurista dei marinettiani: Al momento della dichiarazione di guerra si riavvicinò alle posizioni dei compagni, consapevole della necessità del conflitto. Esordirà, infatti, su Lacerba del 22 maggio 1915 scrivendo: “Evviva questa guerra!”.In seguito, si sarebbe dedicato con profitto alla scrittura in prosa. Per quanto riguarda la poesia, alla vigilia della guerra Palazzeschi aveva ormai dato il meglio di sé. Si avvicinò all’ambiente de La Voce di Giuseppe De Robertis e iniziò a collaborare per la rivista. Richiamo alle armi e gli anni del fascismo Durante l’estate del 1916, pur essendo stato riformato alla visita militare, venne richiamato il 16 luglio e il 24 agosto alle armi come soldato del genio. Fu per poco tempo al fronte e in seguito di stanza a Firenze, a Roma e a Tivoli. Si ritrovano i ricordi di quel periodo nei suoi bozzetti di Vita militare e nel libro autobiografico Due imperi... mancati (1920). Durante gli anni del fascismo, Palazzeschi non partecipò alla cultura ufficiale nonostante gli sforzi intrapresi in questo senso da Filippo Tommaso Marinetti; compì qualche viaggio a Parigi e dal 1926 collaborò al Corriere della Sera. Nel 1921 pubblicò il suo primo libro di racconti, presso Vallecchi, Il re bello; nel 1926 uno “scherzo” iniziato nel 1912 dal titolo La piramide. Nel 1929 trovarono spazio su vari giornali e riviste, fra cui Pègaso, Pan e Il Selvaggio, novelle, saggi e ricordi. Fra il 1930 e il 1931 si recò più volte a Parigi dove ebbe modo di conoscere Filippo de Pisis, Georges Braque e Henri Matisse. Nel 1930 venne stampata dall’editore Preda a Milano l’edizione definitiva delle Poesie risistemate con alcune variazioni; frequentò i coniugi Prezzolini e conobbe Pirandello a casa Crémieux; nel 1931 pubblicò altri racconti su Pègaso e sulla Gazzetta del Popolo; apparve nella «Collezione Romantica» Mondadori, la sua traduzione di Tartarino di Tarascona di Alphonse Daudet. Nel 1932, abbandonate le veneri della stravaganza e dell’iconoclastica di matrice futurista, si riconciliò con le forme tradizionali pubblicando, su proposta di Ugo Ojetti, Stampe dell’Ottocento, prose di ricordi, che gli valse una menzione onorevole nell’assegnazione del Premio Mussolini. Nel 1933 collaborò con alcuni racconti alla terza pagina del settimanale Quadrivio di Telesio Interlandi. Nel 1934 fece parte della giuria del premio di poesia della Biennale Internazionale d’Arte di Venezia e con Ungaretti e Riccardo Bacchelli della giuria dei Littoriali per la gioventù tenutisi a Firenze. Uscì presso Vallecchi il romanzo Sorelle Materassi, anticipato a puntate sulla Nuova Antologia diretta da Luigi Federzoni. Il romanzo, uscito in volume, fu recensito da Antonio Baldini sulla rivista Omnibus di Leo Longanesi: Per quanto concerne Palazzeschi, sempre schivo a rilasciare interviste, in occasione dell’uscita delle Sorelle Materassi ne concesse una alla Gazzetta del Popolo. Dopo aver riassunto la trama del romanzo, dichiarò: Nel 1937 collaborò con alcune novelle alla rivista Omnibus su invito del direttore Longanesi. Il 1937 fu altresì l’anno de Il palio dei buffi, seconda raccolta di novelle. Anni romani Il 13 agosto 1938 morì la madre e nell’ottobre del 1940 il padre di Palazzeschi. Il 15 ottobre 1939 scrisse sulla nuova rivista di Curzio Malaparte, Prospettive. A marzo è in Piazza San Pietro in occasione dell’elezione di Papa Pio XII. Nel 1941, si trasferì a Roma dove abiterà fino alla morte. Nello stesso anno, il racconto Don Giovanni e l’etèra, incluso nelle Stampe dell’800, appare tradotto in tedesco sulla rivista Europäische Revue del principe Karl Anton Rohan. Del 1945 è un altro libro autobiografico Tre imperi... mancati. Nel 1948 ottenne, ex aequo con Menzogna e sortilegio di Elsa Morante, il premio Viareggio per il romanzo I fratelli Cuccoli. . Tra il 1950 e il 1951, per dieci mesi, curò la rubrica cinematografica del settimanale Epoca. Nel 1953 presso Vallecchi pubblicò il romanzo Roma, per il quale Palazzeschi ricevette il Premio Marzotto. Nel 1954 uscirono nuove edizioni di Sorelle Materassi e de Il codice di Perelà, con il titolo L’uomo di fumo. A dicembre dello stesso anno fece parte con Marino Moretti della giuria del premio Alessandro Manzoni dell’Unione Editori Cattolici Italiani. Nel 1955 pubblicò presso Scheiwiller la raccolta di poesie Viaggio sentimentale. Collaborò al Corriere della Sera e a La Fiera Letteraria. Nel 1957 gli venne assegnato dall’Accademia Nazionale dei Lincei il premio Feltrinelli per la letteratura. Nel 1960 l’Università degli Studi di Padova gli conferì la laurea in lettere honoris causa. Nel 1964 pubblicò il libro autobiografico Il piacere della memoria. In agosto gli venne annunciato il conferimento da parte dell’ex sovrano Umberto II dell’Ordine civile di Savoia, che ricevette ufficialmente a Cascais il 15 settembre.Nel febbraio del 1965 presenziò alla conferenza “Con Gozzano e altri poeti nel salotto di Nonna Speranza” organizzata da Nino Tripodi. Nello stesso anno presiedette le giurie di vari premi tra cui quella del premio Nazionale d’arte Ardengo Soffici, a Prato, e quelle letterarie del premio Fiuggi, del premio Settembrini-Mestre e del premio Stradanova. Nel 1966 diede alle stampe gli Schizzi italofrancesi (All’insegna del pesce d’oro, Milano). In aprile uscì presso Mondadori la raccolta di novelle Il buffo integrale, che ottenne il premio Gabriele D’Annunzio. Nel 1967 le Nuovedizioni Enrico Vallecchi pubblicarono la raccolta di prose Ieri oggi e... non domani. Da Mondadori uscì in maggio il romanzo Il Doge. Nell’aprile del 1968 uscì da Mondadori la raccolta Cuor mio, in cui sono contenute le liriche composte a partire dal secondo dopoguerra. Nel 1969 fu l’anno del romanzo Stefanino (1969). Nel 1971 uscirono presso Mondadori il nuovo romanzo Storia di un’amicizia e l’antologia Poesie, a cura di Sergio Antonielli. A primavera ricevette dal sindaco di Roma il Premio della Simpatia, ideato dall’amico Domenico Pertica. Nel 1972 venne nominato membro onorario dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti. A febbraio l’Assemblea generale dei Soci dell’Accademia pisana dell’Arte-Sodalizio dell’Ussero lo nominò socio onorario. Nel mese di giugno apparve su Il Giornale d’Italia un suo articolo intitolato La simpatia. Supervisionò inoltre alla produzione dello sceneggiato televisivo Sorelle Materassi, messo in onda dalla Rai sempre nel 1972. Questo evento mediale fu di vasta portata: l’opera dell’artista, giunto ormai a tarda età, fece il suo ingresso in milioni di focolai domestici e diede un contributo tutt’altro che trascurabile alla fama del Palazzeschi romanziere. Lo stesso anno uscì nella collana Mondadori Lo Specchio la raccolta di poesie Via delle cento stelle, a proposito della quale Palazzeschi dichiarerà: Nel 1973 ricevette numerosi premi e riconoscimenti: il Perseo d’oro del C.O.F.A.T. 1973-1974, l’Ulivo d’oro per la poesia, la Grand Aigle d’or de la Ville de Nice al Festival International du Livre. In marzo il presidente Andreotti lo informò della nomina a componente della Commissione per il conferimento dei Premi della «Penna d’Oro» e del «Libro d’oro». Collaborò con Paolo Prestigiacomo al suo antico carteggio con Filippo Tommaso Marinetti, pubblicato in seguito nel 1978. Un corteo di personaggi passa per la sua abitazione romana: riceve continuamente Prezzolini e sua moglie da Lugano e, da Venezia, il conte Cini e la contessa.; a Vittorio Cini l’autore si sarebbe ispirato per la figura del doge nel romanzo omonimo del 1967.Quando si stavano preparando i festeggiamenti per i suoi novant’anni e le riviste Il Verri e Galleria gli dedicavano un numero monografico, lo scrittore, per gravi condizioni seguite a un ascesso dentario trascurato, morì all’ospedale Fatebenefratelli, il 17 agosto alle 11. Poetica Originalità della sua poesia Palazzeschi, anche se nelle varie fasi della sua lunga attività di scrittore si è accostato ai movimenti contemporanei, ha sempre mantenuto la sua individualità e una particolare fisionomia. Anche quando egli, in un primo tempo, riprende i motivi crepuscolari e, in seguito, quelli futuristi, mantiene la sua originalità. I temi crepuscolari da lui ripresi sono infatti privi di languori eccessivi: se Palazzeschi ne ricalca certe situazioni, sostituisce però lo scherzo al sospiro e contamina il tono elegiaco con la presa in giro che conferisce alle sue liriche il carattere di divertimento.Analoghe considerazioni valgono per l’adesione di Palazzeschi ad altre correnti. Lo scrittore seguirà come detto per breve tempo il movimento futurista e nel dichiarare ufficialmente sulla rivista Lacerba, nel 1914, che non si considerava più un futurista dichiarerà apertamente la sua vocazione al gioco della fantasia e al riso: «bisogna abituarsi a ridere di tutto quello di cui abitualmente si piange, sviluppando la nostra profondità. L’uomo non può essere considerato seriamente che quando ride [...] Bisogna rieducare al riso i nostri figli, al riso più smodato, più insolente, al coraggio di ridere rumorosamente...». Questo atteggiamento fa sì che in Palazzeschi si ritrovino i temi e i toni più vari: dall’immagine più onirica alla risata beffarda, dal divertimento funambolesco alla canzonatura che non esclude, comunque, un che di affettuoso e completamente estraneo al futurismo. Sempre in tema di futurismo, si pensi all’originalità di liriche come Pizzicheria dove viene introdotto il dialogo tra il pizzicagnolo e il cliente. Per quanto riguarda La passeggiata, questa poesia non è altro che l’enumerazione delle diverse immagini, delle scritte pubblicitarie e dei numeri civici che l’io poetico immagina di osservare durante la passeggiata tra le vie di una città, passeggiata che ha dunque la funzione di una cornice. Con questi stravolgimenti, Palazzeschi sembra seguire i futuristi dei quali però non interessa né l’esaltazione del movimento, né l’attivismo politico, ma principalmente la distruzione delle tradizionali strutture. Narrativa Tutte queste posizioni sono facilmente riscontrabili nella sua narrativa che avrà, nell’opera di Palazzeschi, una parte prevalente. Una notevole prova viene data dall’autore già nel 1911 con Il codice di Perelà che è la storia di un inconsistente omino di fumo capitato nel nostro mondo. È questa una favola allegorica dove il divertimento non rimane solamente fantastico ma lascia il posto per l’irrisione, di matrice nietzscheana, dei valori codificati della nostra società che, visti attraverso il modo di vivere anticonformista di Perelà, risultano essere una denuncia della loro provvisorietà e credibilità. Anche nell’opera successiva, Piramide (scritta subito dopo ma pubblicata nel 1926) rimaniamo ancora nel campo della fantasticheria umoristica, mentre nelle Stampe dell’Ottocento del 1932 e in Sorelle Materassi del 1934, il tono cambia decisamente. Vengono in esse adottati moduli narrativi più tradizionali che richiamano, nella rappresentazione degli ambienti e dei personaggi, alla forma del bozzettismo toscano di fine Ottocento e una più soffusa interpretazione del programmatico E lasciatemi divertire che si avvia a toni di umana malinconia e comprensione. Su posizioni più tradizionali, si pone dunque la produzione successiva alla fase futurista. È il periodo del cosiddetto “ritorno all’ordine”, che viene generalmente distinto in due fasi: la prima è quella degli anni Trenta, coincidente con il romanzo Sorelle Materassi e le novelle Il Palio dei buffi; la seconda si distende lungo gli anni Quaranta e Cinquanta ed è rappresentata dai romanzi I fratelli Cuccoli e Roma. Nella prima la tradizione letteraria è accettata, ma sono evidenti elementi del programmatico E lasciatemi divertire; nella seconda il canone tradizionale è perfettamente rispettato e la carica dissacrante è totalmente assente. Chiudono la stagione narrativa dell’autore tre romanzi brevi: Il doge (1967), Stefanino (1969) e Storia di un’amicizia (1971), che presentano, soprattutto i primi due, un recupero delle strutture sperimentali riconducibili alla stagione del futurismo. Palazzeschi si diletta nel mettere alla berlina il conformismo della massa, la quale tende costantemente ad erigere feticci e idoli. I bersagli del Doge e di Stefanino sono in definitiva la credulità e la stupidità della folla. Del resto Palazzeschi, negli anni di stesura del Doge e di Stefanino – come si evince dal carteggio con lo scrittore Moretti – andava sempre più nutrendo diffidenza nei confronti della piccola e media borghesia, responsabile della congerie politica venuta ad affermarsi in quel frangente storico. Il doge è da considerarsi– stando alle parole dell’autore– anche come una riflessione sul mistero dell’esistenza: Saggistica Nel 1920 pubblica Due imperi ...mancati un pamphlet polemico sulla Prima guerra mondiale, accolto paradossalmente in senso favorevole da interventisti della prima ora come Ardengo Soffici e Giovanni Papini. In Due imperi... mancati Palazzeschi, accanto alle pagine dedicate alla vita in caserma, muove contro quanti hanno causato il conflitto, contrapponendo loro il pacifismo di Romain Rolland e Karl Marx ma al contempo anela a una società, decisamente utopica, una sorta di età dell’oro, in cui ogni uomo possa vivere, senza guerre, in pace, del suo lavoro. In conclusione affida i caduti del conflitto alla Madonna, recuperando la preghiera alla Vergine del Canto XXXIII del Paradiso.Del 1945 è Tre imperi ...mancati, seguito ideale del saggio precedente e testimonianza polemica ma anche melanconica della seconda guerra mondiale, in cui Palazzeschi ripercorre gli anni del fascismo e del secondo conflitto mondiale; «un libro conservatore, avverso all’economicismo marxista e aneddotico», ma fortemente critico nei confronti della dittatura appena trascorsa. Coerenza delle sue opere Una delle qualità che si evidenziano nella produzione di Palazzeschi è la coerenza del suo lavoro e il legame che esiste tra un’opera e l’altra. Pertanto anche in queste opere non si cade mai nel sentimentalismo elegiaco perché spesso le pagine sono percorse da sprazzi di riso. Ed è appunto questo amalgamarsi di sorriso e pietà, che non rinnega la vocazione al divertimento. Riferimenti Wikipedia – https://it.wikipedia.org/wiki/Aldo_Palazzeschi
Sono una donna alla soglia dei quarant'anni. Ho sempre amato la scrittura, sin da piccola. Le mie opere sono caratterizzate da semplicità e musicalità. Soprattutto desidero lasciare al mio pubblico un velo di speranza e serenità. Ho inoltre scritto dei racconti brevi ma intendi a mio avviso. Oltre alla scrittura ho intrapreso il percorso dell'insegnamento alla scuola primaria. I bambini sono la mia seconda passione perché sono simbolo soprattutto di verità e dolcezza. Mi auspico un piacere alla lettura che sarà al più presto disponibile. Un abbraccio. Carolina
Elio Pagliarani (Viserba, 25 maggio 1927 – Roma, 8 marzo 2012) è stato un poeta e critico teatrale italiano. Ha lavorato nel mondo editoriale ed è stato critico teatrale del quotidiano Paese sera dal 1968 al 1987. È stato tra i principali esponenti della neoavanguardia (comparendo tra l’altro nell’antologia I novissimi del 1961), uno dei protagonisti del Gruppo '63, all’interno della quale ha occupato tuttavia una posizione autonoma e personale. La sua poesia, non priva di toni populistici e crepuscolari, nasce dalla cronaca e dalla vita quotidiana; prosa, inserzioni dialettali, collage di vario tenore sono gli ingredienti del suo stile. Ha anche pubblicato testi teatrali. Pagliarani è stato uno scrittore che ha saputo costantemente reinventarsi nel corso degli anni. Da un lato una fedeltà quasi fotografica al reale, e al mondo della piccola gente, dal sottoproletariato a impiegati come La ragazza Carla, la sua opera più significativa e riconosciuta; dall’altro l’uso di una serie di procedimenti tecnico-formali tipici delle avanguardie, una capacità inusuale di giocare con la lingua e i suoi ritmi. Biografia e opere Nasce il 25 maggio 1927 a Viserba, in Romagna, da Giovanni e da Pasquina Pompili. Il nome di famiglia ha sempre oscillato, anche negli atti anagrafici, tra Pagliarani e Paglierani. Viserba, oggi frazione di Rimini, allora un borgo di piccola industria (sede di una corderia ove si lavorava soprattutto il lino) e turismo (l’attività balneare aveva appena preso le mosse) attirava una popolazione di estrazione contadina, per lo più originaria della non distante Santarcangelo. Il padre proveniva da una famiglia di allevatori di cavalli ed esercitava la professione di vetturale: imparentato alla lontana con quel Luigi Pagliarani investito e poi prosciolto (ma nel 2001 il “caso” è stato riaperto) dall’accusa di essere stato esecutore materiale, nel 1867, dell’assassinio di Ruggero Pascoli, padre di Giovanni e amministratore della tenuta dei Torlonia nella vicina San Mauro. Laureatosi in Scienze politiche a Padova, si trasferisce negli anni quaranta a Milano, dove lavora nella scuola e collabora a giornali e riviste. Negli anni sessanta il poeta si trasferisce a Roma, abitando, fra l’altro, dalla fine degli anni '60 al 1991, nello storico indirizzo di Via Margutta 51 A, interno 29, quello la cui terrazza, un tempo fiorita di gelsomini, rose e viole, troneggia sull’ampio giardino a ghiaietta dello stabile. Collaboratore attivo e presente sulla scena della nuova cultura, Pagliarani, collabora alle più importanti riviste del secondo Novecento, tra le quali Officina, Quindici, Il Verri, Nuovi argomenti, Il Menabò. Nel 1971 fonda la rivista Periodo Ipotetico diventandone il direttore; fa pure parte della redazione di Nuova Corrente. Negli anni Ottanta fonda e dirige con Alessandra Briganti la rivista di Letterature Ritmica. Negli anni cinquanta svolge la sua attività come redattore dell’Avanti e a partire dal 1968, diventa critico teatrale per Paese Sera. Oltre a far parte del Gruppo 63 e ad essere presente nell’antologia dei Novissimi, fu tra i fondatori della Cooperativa di scrittori. Risale al 1954 la sua prima raccolta di poesie, Cronache e altre poesie a cui seguiranno Inventario privato nel 1959 e, nello stesso anno, nel n.14 di Nuova Corrente “Progetti per la ragazza Carla”. Il poemetto sarà poi interamente pubblicato nel 1960 nel n.2 de Il Menabò e ripubblicato nel 1962, insieme alla precedente produzione con il titolo La ragazza Carla e altre poesie. Nel 1964 l’autore pubblica Lezione di fisica che nel 1968 farà parte di Lezioni di fisica e Fecaloro. La ballata di Rudi Inizia in questo periodo la stesura de La ballata di Rudi, il suo secondo romanzo in versi, di cui una parte verrà pubblicata nel 1977 con il titolo Rosso corpo lingua oro pope-papa scienza. Doppio trittico di Nandi mentre l’edizione definitiva e completa si avrà solamente nel 1995. La ballata di Rudi narra le vicende del protagonista eponimo e di una serie di personaggi di contorno, nell’arco di trent’anni. Rudi è un animatore / di balli sull’Adriatico che nel secondo dopoguerra si trasferisce a Milano. Qui prosegue l’attività di intrattenitore in un night club, incoraggiando la prostituzione delle ragazze che lavorano nel locale.La voce narrante del poemetto è a sua volta un protagonista (si tratterebbe, utilizzando un termine coniato da Gérard Genette per i testi narrativi, di un narratore intradiegetico). Nel corso della narrazione affiorano i suoi ricordi d’infanzia: In un’intervista, Pagliarani dichiarò che il personaggio di Rudi era ispirato a una figura da lui realmente conosciuta negli anni '40. Tra gli altri personaggi possiamo ricordare Armando, un tassista abusivo a cui sono dedicati i componimenti XI– XVII del poemetto. Un suo cliente abituale gli propone di collaborare a un contrabbando di denaro in Venezuela. Armando accetta sperando di poter comprare la licenza da tassista con il compenso promesso, ma viene bidonato dal faccendiere.La storia di Armando è narrata dal tassista stesso, e il narratore scompare in questo micro-racconto interno. In quasi tutti i componimenti ci sono però più voci che si alternano, in un flusso privo di segni di interpunzione, dove il passaggio dal monologo interiore a vivaci battibecchi con gli altri interlocutori è scandito tipograficamente (ma non sempre) dalla disposizione dei versi “a gradini”. Ai componimenti che raccontano le gesta di Rudi, Armando e altri personaggi sordidi, si alternano riflessioni di poetica (A spiaggia non ci sono colori) e memorie della vita dei braccianti del mare, in contrapposizione violenta con lo sfacelo morale dell’Italia degli anni Cinquanta. Dopo la morte di Rudi nei primi anni sessanta le cose non migliorano, come suggerisce la poesia Contatta Sagredo, dove personaggi ancora più amorali entrano in scena.Sagredo (alla pari di Rudi) è uno sfruttatore di prostitute, che si nasconde dietro un’immagine di raffinatezza e perbenismo. Il poemetto si chiude con un’epigrafe che è una proposta di resistenza e riapre uno spiraglio di ottimismo: La ballata di Rudi ha vinto il Premio Viareggio per la poesia nel 1995. Gli ultimi anni Tra l’ultima produzione si segnala La bella addormentata. Dal 1988 è stato direttore della videorivista internazionale di poesia VIDEOR. Nel 1998 riceve il Premio Speciale della Giuria del Campiello alla carriera letteraria.Muore a Roma l’8 marzo 2012, all’età di 84 anni. Nel 2015 nasce il Premio Nazionale Elio Pagliarani, dedicato alla poesia italiana contemporanea edita e inedita. Poetica La poesia di Pagliarani affronta temi realistici, come quello del lavoro, dell’economia e della vita delle classi subalterne, trasfigurando il testo poetico fino a trasformarlo in un racconto con andamento polifonico e “corale” che diventa, con il trascorrere del tempo, sempre più frammentario e discontinuo.Pagliarani ricerca la ritmicità poetica nel discorso quotidiano, anche se a un’attenta analisi metrica, molti componimenti sono riconducibili a misure tradizionali (come l’endecasillabo), che emergono a tratti, dissimulati nel verso lungo. Pagliarani sperimenta il verso lungo attraverso il verso “a scaletta” ripreso dalla poesia di Majakovskij rendendo così la poesia tipico mezzo di analisi del vissuto. Un’altra sua tecnica, ripresa dalla poesia di Ezra Pound, è quella dell’inserimento nel discorso poetico di frammenti di testi tecnici o cronachistici (come il manuale di dattilografia nella Ragazza Carla, o brani di articoli di giornale nella Ballata di Rudi). Opere Poesia * Cronache ed altre poesie, Schwarz, Milano, 1954 * Inventario privato, Veronelli, Milano, 1959 * La ragazza Carla in "menabò 2", 1960 * La ragazza Carla e altre poesie, Mondadori, Milano, 1964 * Lezione di fisica, Scheiwiller, Milano, 1964 * Lezione di fisica e Fecaloro, Feltrinelli, Milano, 1968 * Rosso Corpo Lingua oro pope-papa scienza– Doppio trittico di Nandi con un saggio di Gabriella Sica, Cooperativa Scrittori, Roma, 1977 * Poesie da recita (La ragazza Carla – Lezioni di fisica e Fecaloro – Dalla ballata di Rudi) a cura di Alessandra Briganti, Roma, 1985; brani tradotti in francese da J.-Ch. Vegliante (v. pure: Epigrammi) * Esercizi platonici, Palermo, Acquario, 1985 * Epigrammi ferraresi, introduzione di Romano Luperini, Manni Editori, Lecce, 1987 * La bella addormentata nel bosco, Corpo 10, Milano, 1988. * La ballata di Rudi, Marsilio, Milano, 1995. * Per il duemila immediato futuro, disegni a mano di Cosimo Budetta, Intervento di Francesca Bernardini Napoletano, Ogopogo, Agromonte, 1998. * Quattro epigrammi da Savonarola, disegni a mano di Cosimo Budetta, Nota introduttiva di Francesca Bernardini Napoletano, Ogopogo, Agromonte, 1998. * A Liarosa vent’anni dopo, acquerello di Eugenia Serafini, Osnago, edizioni Pulcinoelefante, 2001. * La Ragazza Carla A Girl named Carla, translated into English by Luca Paci with Huw Thomas, Troubador, Uk,2006 Antologie * I maestri del racconto italiano (in collaborazione con Walter Pedullà), Rizzoli, Milano, 1964 * Manuale della poesia sperimentale (in collaborazione con Guido Guglielmi), Mondadori, Milano, 1966 * Tutte le poesie (1946-2005), Garzanti, Milano, 2006 Teatro * Le sue ragioni (musica di Angelo Paccagnini), Milano, 1960 * Pelle d’asino (in collaborazione con Alfredo Giuliani), Scheiwiller, Milano, 1964 * Rosso Corpo Lingua (musica di Andrea Ciullo), Galleria Arti Visive di Sylvia Franchi, Roma, 1979 * A tratta si tirano da “La ballata di Rudi” (musica di Andrea Ciullo), Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, 1983 * La bella addormentata nel bosco, Corpo 10, Milano, 1987 * La bestia di porpora o Poema di Alessandro ne L’Illuminista, rivista di cultura contemporanea diretta da Walter Pedullà,n.2-3, autunno inverno 2000, pp. 41–87 * IV Epigramma dagli “Eccetera di un contemporaneo” (musica di Andrea Ciullo), E-theatre, Roma, 2007 * Tutto il teatro, a cura di Gianluca Rizzo, Venezia, 2013 Saggistica * Il fiato dello spettatore, Marsilio, Padova, 1972; nuova edizione Il fiato dello spettatore e altri scritti sul teatro, a cura di Marianna Marrucci, L’orma editore, Roma, 2017, ISBN 978-88-997-9322-7 * Giovanni Pascoli, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma, 1998 * Epigrammi. Da Savonarola, Martin Lutero..., Manni Editori, Lecce, 2001 Opere complessive * La ragazza Carla e nuove poesie, a cura di Alberto Asor Rosa, Mondadori, Milano, 1978 * Poesie da recita. La ragazza Carla, Lezione di fisica e Fecaloro, dalla Ballata di Rudi, a cura di Alessandra Briganti, Bulzoni, Roma, 1985 * Poesie d’amore e disamore, a cura di Plinio Perilli, Mancosu, Roma, 1994 (contiene le prime due raccolte) * La pietà oggettiva. (Poesie 1947-1997), a cura di Plinio Perilli, Fondazione Piazzolla, Roma, 1997 * Romanzi in versi (La ragazza Carla, La ballata di Rudi), Mondadori, Milano, 1997 * Tutte le poesie(1946-2005), a cura di Andrea Cortellessa, Garzanti, Milano, 2006 Bibliografia della critica * Franco Fortini, Pagliarani, 1959, in Id. Saggi italiani, Milano, 1987 * Giovanni Raboni, Tre libri di poesia, in “aut aut” 1963, ora in Id., La poesia che si fa, Milano, 2005 * Guido Guglielmi, Recupero della dimensione epica, in “Paragone”, XIV, 1963 * Enzo Siciliano, in Prima della poesia, Firenze, 1965 * Costanzo Di Girolamo, Elio Pagliarani, in “Belfagor”, XXIX, 1974 * Walter Pedullà, Elio Pagliarani, in AA.VV., Letteratura italiana. I contemporanei, vol. VI, Milano, 1974 * Walter Siti, Lezioni di fisica e Fecaloro, in Id., Il realismo dell’avanguardia, Torino, 1975 * Romano Luperini, Elio Pagliarani, in Il Novecento, Torino, 1981 * Gabriella Di Paola, La ragazza Carla:linguaggio e figure, con una premessa di Ignazio Baldelli, Roma, 1985 * Jean-Charles Vegliante, Pagliarani, la poesia “quando ristagna il ritmo...”, in “Les Langues Néo-Latines” 266, 1988 (p. 63-70) * G. Pianigiani, La Ballata di Rudi di Elio Pagliarani: romanzo-partitura e drammaturgia antilirica, in “Allegoria”, n. 23, a. VIII, 1996 * Fausto Curi, Pagliarani, in Id. La poesia italiana del Novecento, Bari Roma, 1999 * M. Marrucci, Effetti di romanzizzazione in Elio Pagliarani, in “Moderna”, n.2, a. II, 2000 * C. Eccher, Sulla Ballata di Rudi di Elio Pagliarani, in “Avanguardia”, n. 20, a. VII, 2002 Luigi Ballerini, Della violenta fiducia ovvero di Elio Pagliarani in prospettiva, in Elio Pagliarani, Atti della giornata di studi di Los Angeles del 7 ottobre 2003, “Carte italiane.A Journal of Italian Studies edited by the Graduate Students at UCLA”,1,2004, pp. 21–23 * Fausto Curi, Mescidazione e polifonia in Elio Pagliarani, in Id. Gli stati d’animo del corpo. Studi sulla letteratura dell’Ottocento e del Novecento, Pedragon, Bologna, 2005 * Enrico Testa, Elio Pagliarani, in Dopo la lirica, Torino, 2005 * Marco Ricciardi, La feci trasformate in oro dal poeta-alchimista, ne “L’Immaginazione”, N° 245, marzo 2009 Luigi Weber, “Pensare che s’appassisca il mare”: economia del paesaggio ne La ballata di Rudi di Elio Pagliarani, in Atlante dei movimenti culturali in Emilia-Romagna dall’Ottocento al contemporaneo, a cura di P. Pieri e L. Weber, Bologna, CLUEB, 2010, vol. III, pp. 271–288 * Federico Fastelli, “Dall’avanguardia all’eresia”. L’opera poetica di Elio Pagliarani, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2011. Mario Buonofiglio, Il suono di sottofondo della città e i turbamenti ritmici della “Carla” del Pagliarani, in Il Segnale, anno XXXI, nr. 93, ottobre 2011; ora disponibile in AcademiaIl numero 20/21 (settembre/dicembre 2007) de L’Illuminista (direttore Walter Pedullà, edizioni Ponte Sisto, Roma) è interamente dedicato all’opera di Elio Pagliarani e contiene –oltre ad un’ampia selezione di saggi e interventi critici editi– i seguenti saggi inediti: * Luigi Ballerini, Documenti per una preistoria della “Ragazza Carla” * Grazia Menechella, Le domeniche di Carla * Tommaso Ottonieri, Il romanzo del Focus * Walter Pedullà, Le sentenze finali di Elio Pagliarani * Marco Ricciardi, Un cactus chiamato poesia nel deserto della Pedagogia urbana * Caterina Selvaggi, La resistenza delle/alle cose in “Fecaloro” * Carlo Serafini, La parola torna ai poeti... * Siriana Sgavicchia, Kipling, Brecht, Eliot, nella “Ballata di Rudi” Riferimenti Wikipedia – https://it.wikipedia.org/wiki/Elio_Pagliarani
Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922 – Roma, 2 novembre 1975) è stato un poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, drammaturgo e giornalista italiano, considerato tra i maggiori artisti e intellettuali del XX secolo. Culturalmente versatile, si distinse in numerosi campi, lasciando contributi anche come pittore, romanziere, linguista, traduttore e saggista, non solo in lingua italiana, ma anche friulana. Attento osservatore dei cambiamenti della società italiana dal secondo dopoguerra sino alla metà degli anni settanta nonché figura a tratti controversa, suscitò spesso forti polemiche e accesi dibattiti per la radicalità dei suoi giudizi, assai critici nei riguardi delle abitudini borghesi e della nascente società dei consumi, come anche nei confronti del Sessantotto e dei suoi protagonisti. Il suo rapporto con la propria omosessualità fu al centro del suo personaggio pubblico. Biografia L’infanzia e la giovinezza Pier Paolo Pasolini, primogenito dell’ufficiale di fanteria bolognese Carlo Alberto Pasolini e della maestra casarsese Susanna Colussi, nacque nella zona universitaria di Bologna il 5 marzo 1922 in una foresteria militare, in via Borgonuovo 4, dove ora c’è una targa in marmo che lo ricorda. A causa dei frequenti trasferimenti del padre, la famiglia, che da Bologna si era già trasferita a Parma, nel 1923 si trasferì a Conegliano, e nel 1925 a Belluno, dove nacque il fratello Guido Alberto. A Belluno viene mandato all’asilo dalle suore, ma dopo pochi giorni si rifiuta di andarci e la famiglia acconsente. Nel 1927 i Pasolini furono nuovamente a Conegliano, dove Pier Paolo prima di compiere i sei anni fu iscritto alla prima elementare. L’anno successivo traslocarono a Casarsa della Delizia, in Friuli, ospiti della casa materna, poiché il padre era agli arresti per alcuni debiti. La madre, per far fronte alle difficoltà economiche, riprese l’insegnamento. Terminato il periodo di detenzione del padre, ripresero i trasferimenti a un ritmo quasi annuale. Fondamentali rimasero i soggiorni estivi a Casarsa. Nel 1929 i Pasolini si spostarono nella vicina Sacile, sempre in ragione del mestiere del capofamiglia, e in quell’anno Pier Paolo aggiunse alla sua passione per il disegno quella della scrittura, cimentandosi in versi ispirati ai semplici aspetti della natura che osservava a Casarsa. Dopo un breve soggiorno a Idria nella Venezia Giulia (oggi in territorio sloveno), la famiglia ritornò a Sacile, dove Pier Paolo affrontò l’esame di ammissione al ginnasio. Venne bocciato in italiano, per poi superare la prova a ottobre. A Conegliano cominciò a frequentare la prima classe, ma a metà dell’anno scolastico 1932-1933 il padre fu trasferito a Cremona, dove la famiglia rimase fino al 1935 e Pier Paolo frequentò il Liceo Ginnasio Daniele Manin. Fu questo un triennio di intense fascinazioni e di un precoce ingresso nell’adolescenza, come testimonia il vibrante tratto autobiografico Operetta marina, scritto alcuni anni più tardi e pubblicato postumo assieme a Romàns. Successivamente il padre ebbe un nuovo trasferimento a Scandiano, con gli inevitabili problemi di adattamento per il tredicenne causati anche dal cambiamento di ginnasio a Reggio Emilia, che raggiungeva in treno.In Pier Paolo crebbe la passione per la poesia e la letteratura, mentre lo abbandonava il fervore religioso del periodo dell’infanzia. Completato il ginnasio a Reggio Emilia, frequentò il Liceo Galvani di Bologna, dove incontrò il primo vero amico della giovinezza, il reggiano Luciano Serra. A Bologna, dove avrebbe trascorso sette anni, Pier Paolo coltivò nuove passioni, come quella del calcio, e alimentò la sua passione per la lettura comprando numerosi volumetti presso le bancarelle di libri usati sotto il portico della Libreria Nanni, circa di fronte a Piazza Maggiore. Le letture spaziavano da Dostoevskij, Tolstoj e Shakespeare ai poeti romantici del periodo di Manzoni.Al Liceo Galvani di Bologna fece conoscenza con altri amici, tra i quali Ermes Parini, Franco Farolfi, Elio Melli, e con loro costituì un gruppo di discussione letteraria. Intanto la sua carriera scolastica proseguiva con eccellenti risultati e nel 1939 venne promosso alla terza liceo con una media tanto alta da indurlo a saltare un anno per presentarsi alla maturità in autunno. Si iscrisse così, a soli diciassette anni, alla Facoltà di Lettere dell’Università di Bologna, e scoprì nuove passioni culturali, come la filologia romanza e soprattutto l’estetica delle arti figurative insegnata al tempo dall’affermato critico d’arte Roberto Longhi. Frequentava intanto il Cineclub di Bologna dove si appassionò al ciclo dei film di René Clair; si dedicò allo sport e fu promosso capitano di calcio della Facoltà di Lettere; faceva gite in bicicletta con gli amici e frequentava i campeggi estivi che organizzava l’Università di Bologna. Con gli amici – l’immagine da offrire ai quali era sempre quella del “noi siamo virili e guerrieri”, perché non percepissero nulla dei suoi travagli interiori – si incontrava, oltre che nelle aule dell’Università, anche nei luoghi istituiti dal Regime fascista per la gioventù, come il GUF, i campeggi della “Milizia”, le competizioni dei Littoriali della cultura. Procedevano in questo periodo le letture delle Occasioni di Montale, di Ungaretti e delle traduzioni dei lirici greci di Quasimodo, mentre fuori dall’ambito poetico leggeva soprattutto Freud e ogni cosa che fosse disponibile in traduzione italiana. Nel 1941 la famiglia Pasolini trascorse come ogni anno le vacanze estive a Casarsa, e Pier Paolo scrisse poesie che allegava alle lettere per gli amici bolognesi tra i quali, oltre l’amico Serra, erano inclusi Roberto Roversi e il cosentino Francesco Leonetti, verso i quali sentiva un forte sodalizio: Il padre era stato richiamato in servizio ed era partito per l’Africa Orientale, dove verrà fatto prigioniero dagli Inglesi. I quattro giovani pensarono di fondare una rivista dal titolo Eredi alla quale Pasolini volle conferire un programma sovraindividuale: La rivista non vedrà la luce a causa delle restrizioni ministeriali sull’uso della carta, ma quell’estate del 1941 rimarrà per i quattro amici indimenticabile. Cominciarono intanto ad apparire nelle poesie di Pasolini alcuni frammenti di dialogo in friulano anche se le poesie inviate agli amici continuavano a essere composte da versi improntati alla letteratura in lingua italiana. Le prime esperienze letterarie Di ritorno da Casarsa all’inizio dell’autunno scoprì di aver nel cuore la lingua friulana e tra gli ultimi mesi del 1941 e i primi del 1942 scrisse i versi che, raccolti in un libretto intitolato Poesie a Casarsa, verranno pubblicati il 14 luglio 1942, a spese dell’autore, e saranno subito notati da Gianfranco Contini (che gli dedicherà una recensione positiva), da Alfonso Gatto e dal critico Antonio Russi. Nel luglio 1942 passò tre settimane in un campo di addestramento per allievi ufficiali presso Porretta Terme.A Bologna intanto riprese la fervida vita culturale, che si svolse all’interno dell’università, e, anche perché incoraggiato dal giudizio positivo che Francesco Arcangeli aveva dato ai suoi quadri, chiese di svolgere una tesi di laurea sulla pittura italiana contemporanea con Roberto Longhi, docente di Storia dell’arte. Di questa tesi, il cui manoscritto andrà perduto durante i giorni dell’otto settembre del 1943, Pasolini abbozzerà solamente i primi capitoli per poi rinunciarvi e passare a una tesi più motivata sulla poesia di Pascoli. Scelto come relatore il suo professore di letteratura italiana Carlo Calcaterra, Pasolini lavorò al progetto dell’Antologia della poesia pascoliana (introduzione e commenti) tra il 1944 e il 1945, mettendo a punto, dopo un’ampia introduzione in cui sono esposte e discusse le premesse teoriche della tesi, una personale selezione di testi provenienti dalle differenti raccolte del Pascoli, analizzati e commentati con sensibilità peculiare. Il 26 novembre 1945, Pasolini si laureò in Lettere con 110/110 e lode presso l’Università degli Studi di Bologna, discutendo una tesi su Giovanni Pascoli ma solo nel 1993 l’Antologia vide la luce per la casa editrice Einaudi. La GIL di Bologna aveva intanto in programma di pubblicare una rivista, Il Setaccio, con qualche fronda culturale. Pasolini aderì insieme e ne diventò viceredattore, ma presto entrò in contrasto con il direttore responsabile, Giovanni Falzone, che era molto ligio alla retorica del regime. La rivista cesserà le pubblicazioni dopo soli sei numeri ma rappresenterà per Pasolini un’esperienza importante, grazie alla quale comprenderà la natura regressiva e provinciale del fascismo e maturerà un atteggiamento culturale antifascista anche grazie all’incontro con Giovanna Bemporad a cui propose di tradurre per la rivista dove lei si firmava Giovanna Bembo per sfuggire alle leggi razziali.Nell’autunno del 1942 partecipò a un viaggio nella Germania nazista, organizzato come incontro della gioventù universitaria dei paesi fascisti, che gli rivelò aspetti della cultura europea sconosciuti al provincialismo italiano. Al ritorno dal viaggio pubblicò, sulla rivista del GUF, l’articolo Cultura italiana e cultura europea a Weimar (gennaio 1943), che anticipava già quello che sarà il Pasolini “corsaro”, e sul “Setaccio” tracciò le linee di un programma culturale i cui principi erano quelli dello sforzo di autocoscienza, del travaglio interiore, individuale e collettivo, e della sofferta sensibilità critica, un percorso che lo poneva già al di fuori del fascismo. Il periodo della guerra Il 1942 si concluse con la decisione della famiglia di sfollare in Friuli, a Casarsa, ritenuto un luogo più tranquillo e sicuro per attendere la fine della guerra. Nel 1943 a Casarsa il giovane Pier Paolo fu colto da quei turbamenti erotici che in passato aveva cercato di allontanare: Continuava intanto a tenersi in contatto epistolare con gli amici, ai quali questa volta non volle nascondere nulla, raccontando quanto gli stava capitando: Alla vigilia dell’Armistizio, Pasolini fu chiamato alle armi. Costretto ad arruolarsi a Pisa il primo settembre 1943, una settimana dopo, l’8 settembre, disobbedì all’ordine di consegnare le armi ai tedeschi e riuscì a fuggire dalla deportazione travestito da contadino e a rifugiarsi a Casarsa. Lì c’erano alcuni giovani appassionati di poesia (Cesare Bortotto, Riccardo Castellani, Ovidio Colussi, Federico De Rocco e il cugino Domenico Naldini) con i quali fondò l’Academiuta di lenga furlana che si proponeva di rivendicare l’uso letterario del friulano casarsese contro l’egemonia di quello udinese. Il nuovo gruppo si propose di pubblicare una rivista che fosse in grado di rivolgersi al pubblico del paese e nello stesso tempo promuovere la sua poetica. Il primo numero della rivista uscì nel maggio del 1944 con il titolo "Stroligùt di cà da l’aga" ("Lunario [pubblicato] di qua dall’acqua [il Tagliamento]"). Nel frattempo la tranquillità di Casarsa era compromessa dai bombardamenti e dai rastrellamenti di fascisti per l’arruolamento forzato nel nuovo esercito della Repubblica di Salò e cominciavano a formarsi i primi gruppi partigiani. Pier Paolo cercò di astrarsi il più possibile dedicandosi agli studi e alla poesia, e intanto tenne lezioni private per quegli studenti che a causa dei bombardamenti non potevano raggiungere le scuole di Pordenone o il ginnasio di Udine.Nell’ottobre del 1944 Pier Paolo e la madre – il fratello Guido si era intanto unito alle formazioni partigiane della Carnia – si trasferirono a Versuta, che sembrava essere un luogo più tranquillo e lontano dagli obiettivi militari. Nel villaggio mancava la scuola e i ragazzi dovevano percorrere più di tre chilometri per raggiungere la loro sede scolastica a Casarsa che era stata bombardata. Susanna e Pier Paolo decisero così di aprire una scuola gratuita nella loro casa. Pier Paolo visse il suo primo amore in quei momenti per un allievo tra i più grandi («In quelle membra splendevano un’ingenuità, una grazia… o l’ombra di una razza scomparsa che durante l’adolescenza riaffiora») e, al contempo, si innamorò di lui una giovane violinista slovena, Pina Kalc (Josipina Kalc), che aveva raggiunto con la sua famiglia il rifugio di Pasolini. La vicenda del ragazzo e l’amore di Pina per lui si intrecciarono complicando dolorosamente quei lunghi mesi che mancavano alla fine della guerra.Il 7 febbraio del 1945, Guido, il fratello diciannovenne di Pier Paolo fu ucciso, insieme ad altri 16 partigiani della Brigata Osoppo, a Porzus, in Friuli, da una milizia di partigiani comunisti in quello che fu ricordato come l’Eccidio di Porzûs. Questa notizia fu data a Pasolini il 2 maggio 1945 dal suo amico partigiano Cesare Bortotto gettando Pier Paolo e la madre in un terribile strazio. Proseguirono comunque le lezioni nella piccola scuola di Versuta, dove Pier Paolo era considerato un vero maestro. Il 18 febbraio dello stesso anno venne fondata l’"Academiuta di lenga furlana" che raccoglieva un piccolo gruppo di neòteroi e che, sulle basi delle esperienze precedenti di Pier Paolo, fondò i principi del felibrismo regionale: In agosto fu pubblicato il primo numero de Il Stroligut, con una numerazione nuova per distinguersi dal precedente Stroligut di cà da l’aga e, nello stesso periodo, cominciò la serie dei “diarii” in versi italiani pubblicati nel 1946 in un primo volumetto a spese dell’autore sulle “Edizioni dell’Academiuta”, e sulla rivista fiorentina Il Mondo, pubblicò due poesie tratte dalla raccolta e scelte dallo stesso Montale. Nello stesso anno aderì a Patrie tal Friul (l’associazione per l’autonomia del Friuli creata da Tiziano Tessitori, con sede a Udine) e dopo il ritorno del padre nell’autunno del 1945, prigioniero degli inglesi in Africa poi rimpatriato, in anticipo per il lutto ricevuto, dal Kenya. Il dopoguerra in Friuli e il primo processo Nel 1946 Pasolini lavorò a un romanzo autobiografico rimasto incompiuto intitolato dapprima Quaderni rossi perché scritti a mano su cinque quaderni scolastici dalla copertina rossa, poi Pagine involontarie e infine “Il romanzo di Narciso”. In queste pagine l’autore descrive per la prima volta le sue esperienze omosessuali. Scrive di queste pagine Nico Naldini: "Prima di allora Pier Paolo non aveva mai descritto, se non per simboli ed ellissi, il suo eros e il suo dolore. Lo ha fatto con una sincerità che direi “musicale” dove anche l’ombra di una falsità avrebbe stonato." Isolato a Versuta (la casa di Casarsa era stata danneggiata dai bombardamenti) Pasolini cercò di ristabilire i rapporti con il mondo letterario e scrisse a Gianfranco Contini per presentargli il progetto di trasformare lo Stroligùt da semplice foglio a rivista. In seguito alla visita fatta da Silvana Mauri, sorella di un suo amico e innamorata di Pasolini, a Versuta, si recò in agosto a Macugnaga dove risiedeva la famiglia Mauri, e approfittando dell’occasione si recò a Domodossola per incontrare Contini. Usciva nel frattempo a Lugano il bando del premio “Libera Stampa” e Contini, che era membro della giuria, sollecitò il giovane amico a inviare il dattiloscritto che gli aveva mostrato, L’usignolo della Chiesa Cattolica, con la seconda parte de Il pianto della rosa. L’operetta riceverà solamente una segnalazione ma intanto Pasolini uscì dal suo isolamento e, grazie anche al clima più sereno del dopoguerra, ricominciò a frequentare la compagnia dei ragazzi più grandi di Versuta. Il 29 marzo 1947 vince a Venezia il premio Angelo (presieduto da Giuseppe Marchiori) per poesie in friulano e veneto. In ottobre Pasolini si recò a Roma dove fece la conoscenza di alcuni letterati che lo invitarono a collaborare alla “Fiera Letteraria”. Completò inoltre il dramma in italiano in tre atti intitolato Il Cappellano e pubblicò, nelle Edizioni dell’Academiuta, la raccolta poetica, sempre in italiano, I Pianti. Nel corso del 1947 si iscrisse al PCI di San Giovanni di Casarsa, di cui divenne segretario nel 1949. Il 26 gennaio del 1947 Pasolini scrisse sul quotidiano "Libertà" di Udine: «Noi, da parte nostra, siamo convinti che solo il comunismo attualmente sia in grado di fornire una nuova cultura “vera”, (...) una cultura che sia moralità, interpretazione intera dell’esistenza». Dopo la guerra Pasolini, che era stato a lungo indeciso sul campo in cui scendere, osservò le nuove esigenze di giustizia che erano nate nel rapporto tra il padrone e le varie categorie di diseredati e non ebbe dubbi sulla parte da cui voleva schierarsi. Cercò così di consolidare una prima infarinatura dottrinaria con la lettura di Karl Marx e soprattutto con i primi libri di Antonio Gramsci. Scriverà all’amica poetessa Giovanna Bemporad: Ed è pensando all’altro che nacque la decisione importante di aderire al comunismo. Progettò intanto di allargare la collaborazione della rivista dell’Academiuta alle altre letterature neolatine e fu messo in contatto, da Contini, con il poeta catalano in esilio Carles Cardó. Sempre a Contini inviò la raccolta completa delle sue poesie in friulano che per ora si intitolava Cjants di un muàrt, titolo che verrà cambiato in seguito in La meglio gioventù. Non riuscì però a ottenere l’aiuto di nessun editore per pubblicare i versi. Alla fine dell’anno ottenne l’incarico, per due anni 1947-1948 e 1948-1949, di insegnare materie letterarie alla prima media della scuola di Valvasone, che raggiungeva ogni mattina in bicicletta. Continuò con grande convinzione la sua adesione al PCI e in gennaio partecipò alla manifestazione, che si tenne nel centro di San Vito, il 7 gennaio 1948, organizzata dalla Camera del lavoro per ottenere l’applicazione del Lodo De Gasperi e fu in questa occasione che, osservando le varie fasi degli scontri con la polizia e parlando con i giovani contadini, si delineò il progetto di scrivere un romanzo su quel mondo in fermento, pubblicato solo nel 1962 con il titolo Il sogno di una cosa. Il primo titolo del romanzo è La meglio gioventù. Sempre impegnato nel PCI partecipò nel febbraio del 1949 al primo congresso della Federazione comunista di Pordenone e in maggio si recò a Parigi per il Congresso mondiale della pace. Il 29 agosto del 1949 alla sagra di Santa Sabina a Ramuscello Pasolini pagò tre minori per dei rapporti di masturbazione. La voce arrivò ai carabinieri della Stazione di Cordovado, competente per il territorio. La famiglia di Pasolini intervenne e l’avvocato Bruno Brusin convinse le famiglie dei ragazzi a non sporgere denuncia, offrendo 100 000 lire a testa alle famiglie per il danno subito. L’indagine proseguì, con l’imputazione di atti osceni in luogo pubblico e di corruzione di minore (uno dei ragazzi era sotto i sedici anni). Il 28 dicembre venne stralciata l’accusa di corruzione di minori per mancanza di denuncia e il dibattimento si concentrò sul fatto che gli eventi non si svolsero in un luogo pubblico ma in un campo nascosto da siepe e da un boschetto d’acacie. La sentenza arrivò nel gennaio del 1950: Pier Paolo Pasolini, e i due ragazzi sopra i sedici anni vennero giudicati colpevoli di atti osceni in luogo pubblico e condannati a tre mesi di reclusione ciascuno e al pagamento delle spese processuali; la pena venne interamente condonata per effetto dell’indulto.. mentre i dirigenti del PCI di Udine, il 26 ottobre, decisero di espellerlo dal partito «per indegnità morale e politica». Fu anche sospeso dall’insegnamento, come previsto in simili casi. A questo punto aveva ormai maturato la consapevolezza di essere una sorta di “poeta maledetto". Gli anni cinquanta a Roma Pasolini nel gennaio del 1950 si rifugiò con la sola madre, che dovette prendere servizio come cameriera, a Roma. I primi tempi a Roma furono difficili, a piazza Costaguti dove viveva in una stanza in affitto, per il giovane che sentiva il dovere di trovare un lavoro. Grazie all’intervento del poeta dialettale abruzzese Vittorio Clemente, Pasolini ottenne un lavoro come insegnante in una scuola privata a Ciampino. Sempre per cercare di sbarcare il lunario, si iscrisse al sindacato comparse di Cinecittà, e si offrì come correttore di bozze presso un giornale; riuscì a pubblicare qualche articolo su alcuni quotidiani cattolici e continuò a scrivere i romanzi che aveva cominciato in Friuli: Atti impuri, Amado mio, La meglio gioventù. Comincia a scrivere Ragazzi di vita e alcune pagine romane, come Squarci di notti romane, Gas e Giubileo, che saranno in seguito riprese in Alì dagli occhi azzurri. Dopo l’amicizia con Sandro Penna, che diventò l’amico inseparabile delle passeggiate notturne sul lungotevere, conobbe nel '51 un giovane imbianchino, Sergio Citti, che lo aiuterà ad apprendere il gergo e il dialetto romanesco costituendo, come scriverà lo stesso Pasolini, il suo “dizionario vivente”. Compose in questo periodo le poesie che verranno raccolte in Roma 1950 – Diario pubblicate nel 1960 da Scheiwiller e finalmente riuscì a ottenere un posto di insegnante presso una scuola media di Ciampino, dove insegnò dal 1951 al 1953, cosa che gli permise di far smettere la madre di lavorare e di affittare una casa in via Tagliere – nella borgata Rebibbia – dove li raggiunse il padre. Durante l’estate pubblicò sulla rivista Paragone il racconto Il Ferrobedò, che diventerà in seguito un capitolo di Ragazzi di vita, scrisse il poemetto L’Appennino che farà da apertura a Le ceneri di Gramsci e altri racconti romani. Partecipò al premio di poesia dialettale Cattolica (nella giuria anche Eduardo De Filippo) vincendo il secondo premio (50.000 lire) con Il testamento di Coran (ora compreso ne La meglio Gioventù). Riuscirà a vincere un premio anche i due anni successivi, (premio Sette Stelle di Sinalunga e Le Quattro arti di Napoli).In questo periodo strinse amicizia con Giorgio Caproni, Carlo Emilio Gadda e Attilio Bertolucci grazie al quale firmerà il primo contratto editoriale per una Antologia della poesia dialettale del Novecento che uscirà nel dicembre del '52 con una recensione di Eugenio Montale. Nel 1953 prese a lavorare a un’antologia della poesia popolare, per la collana dell’editore Guanda diretta dall’amico Bertolucci, che uscirà con il titolo Canzoniere italiano nel 1955 e nel frattempo pubblicò il primo volumetto di versi friulani Tal còur di un frut. Nell’ottobre dello stesso anno uscì su “Paragone” un’altra anticipazione del futuro Ragazzi di vita e Bertolucci lo presentò a Livio Garzanti perché si impegnasse a pubblicare il romanzo. Nel 1954, in situazione di ristrettezze economiche, riesce a far pubblicare La meglio gioventù, presso l’editore Sansoni, una raccolta di poesie in friulano con una dedica a Gianfranco Contini, con cui Pasolini vinse il Premio Giosuè Carducci ex aequo con Paolo Volponi, premio storico, ancora oggi vigente, della città di Pietrasanta.Come scrive in una lettera indirizzata a Vittorio Sereni, datata 7 agosto 1954, Pasolini si trova ad accettare il Premio soprattutto "per l’urgente, odioso bisogno delle 150mila". Risale al marzo del 1954 il suo primo lavoro cinematografico che consisteva nella collaborazione con l’amico Giorgio Bassani alla sceneggiatura del film di Mario Soldati La donna del fiume. Il lavoro con il cinema gli permette di lasciare l’insegnamento e trasferirsi nell’aprile del 1954 in un appartamento in via Fonteiana. Intanto Vittorio Sereni gli propone di pubblicare una raccolta di poesie nella collana per La Meridiana che curava insieme a Sergio Solmi che uscirà nel gennaio del 1954 con il titolo Il canto popolare e che confluirà in seguito nell’opera “Le ceneri di Gramsci”. Il romanzo Ragazzi di vita Tra il 1955 e il 1960 Pasolini, iniziando con il successo di Ragazzi di vita, assunse un ruolo centrale nel panorama della cultura italiana. Il 13 aprile del 1955 Pasolini spedì all’editore Garzanti il dattiloscritto completo di Ragazzi di vita che viene dato alle bozze. Il romanzo uscirà quello stesso anno ma il tema scabroso che trattava, quello della prostituzione omosessuale maschile, causa all’autore accuse di oscenità. Nonostante l’intervento feroce della critica (tra questi Emilio Cecchi, Asor Rosa e Carlo Salinari) e l’esclusione dal premio Strega e dal premio Viareggio, il libro ottenne un grande successo da parte del pubblico, venne festeggiato a Parma da una giuria presieduta da Giuseppe De Robertis e vinse il “Premio letterario Mario Colombi Guidotti”. Nel frattempo la magistratura di Milano aveva accolto la segnalazione della presidenza del consiglio dei ministri, rappresentata da Antonio Segni, di “carattere pornografico” del libro.Il vecchio amico cosentino Francesco Leonetti gli aveva scritto dicendo che era giunto il momento di fare una nuova rivista, annunciando in questo modo quella che diventerà Officina (maggio 1955-giugno 1959), rivista che ritrova i suoi precedenti nella rivista giovanile Eredi. Il progetto della rivista, lanciato appunto da Leonetti e da Roberto Roversi (con il coinvolgimento dell’amico bolognese Gianni Scalia), procedette in quello stesso anno con numerosi incontri per la stesura del programma al quale Pasolini aderì attivamente.Sempre nel 1955 uscì l’antologia della poesia popolare, Canzoniere italiano con una dedica al fratello Guido e in luglio Pasolini si recherà a Ortisei con Giorgio Bassani per lavorare alla sceneggiatura del film di Luis Trenker Il prigioniero della montagna. Questo è il periodo in cui cinema e letteratura cominciano a procedere su due binari paralleli come scrive Pasolini stesso a Contini: Continuava nel frattempo la polemica della critica marxista a Ragazzi di vita e Pasolini pubblicò sul numero di aprile della nuova rivista Officina un articolo contro Carlo Salinari e Antonello Trombadori che scrivevano sul Contemporaneo. A luglio si tenne a Milano il processo contro Ragazzi di vita che terminerà con una sentenza di assoluzione con “formula piena”, grazie anche alle testimonianze di Pietro Bianchi e Carlo Bo, che aveva dichiarato il libro essere ricco di valori religiosi "perché spinge alla pietà verso i poveri e i diseredati" e non contenente oscenità perché "i dialoghi sono dialoghi di ragazzi e l’autore ha sentito la necessità di rappresentarli così come in realtà", e di Giuseppe Ungaretti, che inviò una lettera firmata ai magistrati che si occupavano del caso Ragazzi di vita dicendo loro che si trattava di un abbaglio clamoroso perché il romanzo di Pasolini era semplicemente la cosa più bella che si poteva leggere in quegli anni. Pasolini si dichiarava razionalmente ateo e anticlericale ma «...io so che in me ci sono duemila anni di cristianesimo: io con i miei avi ho costruito le chiese romaniche, e poi le chiese gotiche, e poi le chiese barocche: esse sono nel mio patrimonio, nel contenuto e nello stile.». Cineasta e letterato Nel mese di agosto scrisse la sceneggiatura per il film di Mauro Bolognini, Marisa la civetta, e contemporaneamente collaborò con Fellini alle Notti di Cabiria. Alternando il suo impegno di cineasta con quella di letterato, scrisse, in questo periodo, articoli di critica sul settimanale “Il Punto” (la prima recensione sarà per “La Bufera” di Montale) e assistette i nuovi giovani scrittori di “Officina”, come Arbasino, Sanguineti e Alfredo Giuliani, che emergeranno in seguito nel Gruppo '63. Fece nuove amicizie tra le quali si annovera quella con Laura Betti, Adriana Asti, Enzo Siciliano, Ottiero Ottieri. Ispirato dalla crisi ideologica e politica in atto (il rapporto Kruscev al “XX Congresso” del Partito comunista sovietico aveva segnato il rovesciamento dell’epoca staliniana mettendo in evidenza il contrasto con quanto era successo in Polonia e in Ungheria), il 1956 sarà l’anno della stesura definitiva delle “Ceneri di Gramsci” e della prima bozza del romanzo Una vita violenta.Il dattiloscritto de Le ceneri di Gramsci, composto da undici poemetti scritti tra il 1951 e il 1956, venne spedito da Pasolini a Garzanti nell’agosto del 1957. L’opera, come già era successo per Ragazzi di vita, accese un contrastato dibattito critico ma ebbe un forte impatto sul pubblico che in quindici giorni esaurì la prima edizione. Al premio Viareggio, che si tenne nell’agosto di quell’anno, il libro venne premiato insieme al volume Poesie di Sandro Penna, e Quasi una vicenda, di Alberto Mondadori. Italo Calvino aveva già espresso, con dure parole, il suo giudizio nei confronti del disinteresse di alcuni critici marxisti sostenendo che per la prima volta “in un vasto componimento poetico viene espresso con una straordinaria riuscita nell’invenzione e nell’impiego dei mezzi formali, un conflitto di idee, una problematica culturale e morale di fronte a una concezione del mondo socialista”.Nel settembre 1958, in veste di inviato speciale, si recò a Mosca al Festival della gioventù mentre presso l’editore Longanesi uscirono i versi de L’usignolo della Chiesa cattolica. Lavorò anche alacremente a “Una vita violenta”, scrisse la sua prima autonoma sceneggiatura, “La notte brava”, e collaborò con Bolognini a “Giovani mariti”. Il 19 dicembre 1958 muore suo padre, Carlo Alberto: l’evento coincide con una crisi del rapporto di Pasolini con la comunità degli intellettuali, sancito dalla traumatica fine della rivista Officina e un conseguente impegno di Pasolini nel cinema con una riduzione della sua produzione letteraria. Il romanzo Una vita violenta Nel dicembre del 1958 terminò Una vita violenta che consegnerà all’editore Garzanti nel marzo del 1959 e, alla fine di un lungo lavoro di “autocensura” reso necessario soprattutto per un episodio considerato dall’editore pericoloso dal punto di vista politico, il libro uscirà a maggio dello stesso anno ma, come già successo per Ragazzi di vita, non otterrà né il premio Viareggio né quello Strega. Apprezzato e stimato comunque da un consistente gruppo di letterati otterrà il “premio Crotone” da una giuria composta da Ungaretti, Debenedetti, Moravia, Gadda e Bassani. Il lavoro di sceneggiatore gli permette di cambiare appartamento, nel giugno 1959, da via Fonteiana a via Giacinto Carini, dove abitava anche Bernardo Bertolucci.Durante l’estate Pasolini fece un viaggio giornalistico lungo le coste italiane come inviato del mensile Successo e scrisse tre puntate dal titolo La lunga strada di sabbia. Il sindaco democristiano di Cutro querelò Pasolini per diffamazione a mezzo stampa a causa della descrizione del suo paese nel servizio, cinque giorni dopo la consegna del Premio Crotone, città governata allora dal partito comunista, la querela venne archiviata. Tradusse l’Orestiade di Eschilo per la compagnia teatrale di Vittorio Gassman e riordinò i versi che compongono La religione del mio tempo. L’Azione cattolica nel frattempo aveva provveduto a sporgere denuncia "per oscenità" alla magistratura per “Una vita violenta”, denuncia che verrà però subito archiviata. Nell’anno 1960 Pasolini cominciò a collaborare a “Vie nuove”, a scrivere le bozze del libro di saggi Passione e ideologia, e raccolse i versi de La religione del mio tempo. Gli anni sessanta Nel 1960 uscirono due volumi di vecchi versi, Roma 1950 – Diario e Sonetto primaverile. Prima del Capodanno del 1961 partì per l’India con Alberto Moravia e Elsa Morante e il viaggio gli fornirà il materiale per scrivere una serie di articoli per Il Giorno che andranno a formare il volume L’odore dell’India. A maggio venne pubblicata la raccolta La religione del mio tempo molto apprezzata dall’amico Franco Fortini che gli scriverà: “Vorrei che fossi qui per abbracciarti”. Dal 4 giugno 1960 fino al 30 settembre 1965 tenne, su invito di Antonello Trombadori, una rubrica Dialogo con i lettori sul popolare settimanale comunista “Vie Nuove”.In quello stesso anno si dedicò al suo amore per il cinema scrivendo le sceneggiature de La giornata balorda di Bolognini, Il carro armato dell’8 settembre per Gianni Puccini, La lunga notte del '43 per Florestano Vancini tratto dal racconto di Bassani e Il bell’Antonio tratto dal romanzo di Vitaliano Brancati. Si era intanto prospettato alla sua mente il progetto di scrivere un film in proprio con un soggetto dal titolo La commare secca, ma i fatti di luglio, con i drammatici giorni del governo Tambroni, gli faranno mettere da parte il progetto per scrivere il soggetto di Accattone. Pasolini provò a proporre il soggetto alla casa di produzione dell’amico Fellini, la Federiz. Fellini gli chiese di girare due intere scene di prova, ma il girato non piacque alla produzione che lo rifiutò. L’amico Bolognini gli trovò un produttore, Alfredo Bini (a cui si associò Cino del Duca), al quale Pier Paolo spiegò come voleva fosse girato il film: molti primi piani, prevalenza dei personaggi sul paesaggio e soprattutto grande semplicità. Protagonista sarà Franco Citti, il fratello di Sergio e aiuto regista Bernardo Bertolucci al suo primo film. le riprese del film 'Accattone furono ultimate nel luglio del 1961, il film non ottenne il visto della censura per la proiezione nelle sale italiane, ma verrà lo stesso presentato, il 31 agosto 1961 al Festival di Venezia, fuori concorso. Non particolarmente apprezzato dalla critica italiana, a Parigi, dove venne presto proiettato, ricevette invece il giudizio entusiastico di Marcel Carné e di André Chamson. Dopo la tempestosa accoglienza alla Mostra di Venezia Accattone divenne il primo film italiano a ottenere il divieto ai minori di anni 18. La prima del film a Roma, al cinema Barberini, il 23 novembre 1961, vide l’irruzione di un gruppo di neofascisti che interruppero la proiezione, aggredendo gli spettatori e vandalizzando la sala. Nell’autunno del 1961 si recò al Circeo nella villa di un’amica per scrivere insieme a Sergio Citti la sceneggiatura del film Mamma Roma la cui lavorazione verrà programmata per la primavera del 1962, annoverando fra gli interpreti Anna Magnani. Denunce e processi Nel corso della sua vita Pasolini ricevette 24 denunce e/o querele. Il 30 del giugno 1960 Pasolini venne convocato in commissariato per ricevere una denuncia della polizia per favoreggiamento personale perché aveva dato un passaggio a due ragazzi di Trastevere che erano stati coinvolti in una rissa. Ne risulterà innocente.Il 22 novembre 1961 la polizia perquisì, senza risultato, il suo appartamento in cerca di una pistola con cui Pasolini avrebbe rapinato, il 18 sera, un distributore di benzina di San Felice Circeo. Il 30 novembre Il Tempo uscì a tutta pagina con un articolo Denunciato per tentata rapina Pier Paolo Pasolini con una foto di scena che lo ritraeva con un mitra in mano. Il processo che ne seguì si svolse il 3 luglio a Latina e condannò Pasolini per minaccia con arma. Il romanzo Il sogno di una cosa Terminò nel frattempo il romanzo del periodo friulano, Il sogno di una cosa, che verrà pubblicato in maggio e tra aprile e giugno lavorò alle riprese di Mamma Roma che verrà presentato alla Mostra del cinema di Venezia il 31 agosto 1962 ottenendo un grande successo e una denuncia per oscenità poi archiviata. Alla prima di Mamma Roma, il 22 settembre 1962, al cinema Le quattro fontane di Roma, viene aggredito da un gruppo di neofascisti e interviene la polizia. Durante il settembre di quello stesso anno Pasolini partecipò a un convegno che si tenne alla Cittadella di Assisi ed ebbe occasione di leggere il Vangelo di San Matteo. Da questa lettura nacque l’idea di produrre un film. Nel frattempo partecipò, con il produttore Bini, al film a episodi Ro.Go.Pa.G. insieme a Roberto Rossellini, Jean-Luc Godard e Ugo Gregoretti e in quell’occasione pensò di ricavare un mediometraggio, girato nell’autunno del 1962, su una ricostruzione cinematografica della Passione di Cristo scritta durante la lavorazione di Mamma Roma dal titolo La ricotta che uscirà il primo marzo del 1963 accolto da un pubblico poco partecipe e che verrà sequestrato lo stesso giorno della sua uscita con l’accusa di “vilipendio alla religione di Stato”. Il processo, che verrà tenuto a Roma tra il 6 e il 7 marzo, condannò Pasolini a quattro mesi di reclusione per essere “colpevole del delitto ascrittogli” e il film venne sequestrato fino al dicembre dello stesso anno. Come scriverà Alberto Moravia su l’Espresso: Nel marzo del 1963 acquistò una casa in via Eufrate, all’EUR, dove si trasferì con la madre, in maggio. Quasi contemporaneamente a La Ricotta, Pasolini gira la prima parte del film, formato dal montaggio di pezzi di cinegiornali commentati da testi di Pasolini, La rabbia (1963), la seconda è per la regia di Giovannino Guareschi. Pasolini, visionato il film, ritirò la firma e cercò di impedirne la distribuzione ritenendosi vittima di una manovra del produttore Gastone Ferrante. il film, uscito in poche sale nell’aprile 1963, ebbe scarso successo e fu ritirato quasi subito.Continuò intanto a tenere i contatti con la Cittadella di Assisi e nel febbraio cominciò le ricerche filologiche e storiche per poter realizzare il progetto di girare un film che avesse come soggetto il Vangelo. Insieme al biblista Andrea Carraro e una troupe di tecnici compì viaggi in Israele e Giordania per trovare i luoghi e le persone adatte per la realizzazione del film. Il personaggio più difficile da trovare fu il Cristo che Pasolini volle dai lineamenti forti e decisi. Dopo averlo cercato nel poeta Evtusenko, trovò per caso, poco prima delle riprese, uno studente spagnolo, Enrique Irazoqui, dal volto fiero e distaccato simile ai Cristi dipinti dal Goya o da El Greco, e comprese di aver trovato la persona giusta.Contemporaneamente alla preparazione dei film, tra marzo e novembre 1963, Pasolini realizzò un film-inchiesta sulla sessualità degli italiani dal titolo Comizi d’amore. Cominciò a scrivere La Divina Mimesis tentativo incompiuto di rifacimento critico della Divina Commedia di Dante, il rifacimento in romanesco del Miles gloriosus di Plauto che intitolerà Il Vantone e su richiesta di Vittorini presentò alcune poesie sulla rivista Il Menabò e la Notizia su Amelia Rosselli. Nel maggio del 1964 pubblicò la quarta raccolta di versi italiani Poesia in forma di rosa e il 24 aprile cominciarono le riprese de Il Vangelo secondo Matteo che verranno concluse all’inizio dell’estate. L’opera è stata girata nei paesaggi rupestri di Matera e Massafra utilizzando moltissime comparse locali. Il film, presentato il 4 settembre 1964 a Venezia e poi diffuso in tutti i paesi europei, ottenne un grande successo di pubblico e partecipò alla prima edizione della Mostra internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro. In quella occasione Pasolini conobbe Roland Barthes. Nel mese di ottobre del 1965 cominciarono le riprese del nuovo film Uccellacci e uccellini che trattava il tema della crisi politica del PCI e del marxismo in chiave “ideocomica”. Tra gli attori compariranno Totò e il giovane Ninetto Davoli. Totò era stato scelto perché il film, che si svolgeva tra il reale e il surreale, aveva bisogno di un attore che fosse un po’ clown. I titoli di testa e di coda del film sono cantati da Domenico Modugno.Nel novembre del 1965 uscì anche la raccolta narrativa con il titolo suggerito da Sartre Alì dagli occhi azzurri che conteneva nella parte centrale le sceneggiature de La notte brava, Accattone, Mamma Roma, La ricotta, mentre la prima e l’ultima parte era costituita da racconti che risalivano agli anni cinquanta e dagli abbozzi dei romanzi Il Rio della grana e La Mortaccia. In quell’anno fu invitato da Alberto Moravia e Alberto Carocci, che era stato direttore di Solaria, a dirigere con loro la nuova serie della rivista Nuovi Argomenti e, alla fine dell’anno, dopo aver progettato l’uscita di un nuovo film con Totò e la regia di un’opera lirica alla Piccola Scala, partirà per un viaggio in Nordafrica. Già sofferente di ulcera, nel marzo del 1966, Pasolini, venne colpito da una forte emorragia che lo costrinse a letto per quasi un mese. Sarà l’occasione di rileggere con calma i Dialoghi di Platone che lo stimoleranno a scrivere un teatro simile alla prosa, nella convalescenza scriverà l’impianto delle sei tragedie che compongono la sua opera teatrale: Calderón, Pilade, Affabulazione, Porcile, Orgia e Bestia di Stile. Terminata la convalescenza lavorò a Bestemmia, un romanzo sotto forma di sceneggiatura in versi, e abbozzò Orgia e Bestia da stile e tra maggio e giugno lavorò ad alcuni drammi che voleva rappresentare all’estero. Per l’estate del 1966 si comprò una Maserati 3500 GT di seconda mano, con cui trascorse le vacanze estive in Carnia con la madre Susanna.Intanto, al Festival di Cannes che si tenne il 3 maggio, il film Uccellacci e uccellini ebbe grande successo e l’intervento positivo di Roberto Rossellini durante la conferenza stampa suscitò grande interesse. Tra la primavera e l’estate del 1966 scrisse la bozza dei film Teorema e l’Edipo re oltre a elaborare altri drammi: Pilade, Porcile e Calderón. Nell’ottobre del 1966 si recò a New York per la presentazione di Uccellacci uccellini a un festival cinematografico. Conobbe in quell’occasione Allen Ginsberg. All’inizio di ottobre si recò in Marocco per studiare l’ambientazione dell’Edipo re e a novembre girò un episodio del film Le streghe, dal titolo La Terra vista dalla Luna con Silvana Mangano, Totò e Ninetto Davoli. Di ritorno da un secondo viaggio in Marocco realizzò, in una sola settimana, le riprese dell’episodio Che cosa sono le nuvole? del film Capriccio all’italiana, ancora con Totò, Ninetto Davoli, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia e Domenico Modugno. In aprile ebbero inizio le riprese dell’Edipo re nei deserti rossi del Marocco del sud che continueranno, per alcune scene, nella pianura di Lodi e per il finale nella città di Bologna. Il film, che verrà presentato alla Mostra di Venezia nel settembre 1967, non ebbe successo in Italia, mentre ottenne il favore del pubblico e della critica in Francia e in Giappone. Nello stesso anno scrisse saggi di teoria e tecnica cinematografica che verranno raccolti nel 1972 in Empirismo eretico. Il 26 ottobre dello stesso anno intervistò nella sua casa veneziana il poeta Ezra Pound, allora di 83 anni, per conto della Rai. I due discussero della Neoavanguardia italiana e dell’arte, quindi Pasolini lesse alcuni versi dalla traduzione italiana dei Canti pisani. Il Sessantotto Nel marzo del 1968 venne dato alle stampe il romanzo Teorema che sarà trasformato successivamente nel soggetto di un film, girato nella primavera dello stesso anno, che verrà presentato alla Mostra di Venezia il 4 settembre, alla critica, e che vincerà il secondo premio della carriera di Pasolini, il “Premio OCIC” (Office Catholique International du Cinèma, organizzazione cattolica che si occupa di cinema). Gli autori, tra cui Pasolini, Francesco Maselli e Cesare Zavattini, contestarono la Mostra del Cinema evidenziando come fosse una rassegna di produttori e non di autori e occuparono la Sala Volpi, solo l’intervento della polizia, il 26 agosto, permise la ripresa del festival. Jean Renoir, che assistette alla prima, dirà a un giornalista: A chaque image, à chaque plan, on sent le trouble d’un artiste (In ogni immagine, in ogni scena si sente il turbamento di un artista). Il 13 settembre la Procura di Roma ordinò il sequestro del film per oscenità. In seguito ai celebri scontri di Valle Giulia, scoppiati tra i reparti della polizia che avevano occupato preventivamente la facoltà romana di Architettura e giovani studenti, Pasolini scrisse la poesia Il P.C.I. ai giovani!! che, destinata alla rivista Nuovi Argomenti uscì senza preavviso su L’espresso scatenando una forte polemica. Nella poesia Pasolini si rivolge ai giovani dicendo che la loro è una falsa rivoluzione e che essi sono solamente dei borghesi conformisti, strumenti nelle mani della nuova borghesia. Autore di canzoni A partire dagli anni sessanta Pier Paolo Pasolini fu anche autore di canzoni, cercando un collegamento tra la poesia e la canzone d’autore. Le prime canzoni furono scritte su musiche di Piero Umiliani, Franco Nebbia e Piero Piccioni, e vennero incise da Laura Betti nel 1961, si tratta di Macrì Teresa detta Pazzia, Il valzer della toppa, Cocco di mamma e Cristo al Mandrione. Il valzer della toppa venne in seguito reincisa da Gabriella Ferri, che la inserì nel 1973 nel suo album Sempre, mentre Cristo al Mandrione fu reinterpretata da Grazia De Marchi e, nel 1997, dalla Ferri nel suo album Ritorno al futuro. Nel 1963 collaborò con Sergio Endrigo, per cui preparò un testo utilizzando alcuni versi tratti dalla raccolta La meglio gioventù; la canzone che nasce è Il soldato di Napoleone, contenuta nel primo 33 giri del cantautore istriano. Nel 1967 collaborò con Domenico Modugno, scrivendo il testo di Che cosa sono le nuvole: La canzone è poi stata reinterpretata nel 1996 da gianCarlo Onorato nell’album Il Velluto Interiore, nel 1997 dagli Avion Travel nell’album Vivo di canzoni, nel 2006 da Stefano Bollani nell’album I visionari e nel 2007 da Paolo Benvegnù. Modugno aveva già lavorato con Pasolini l’anno precedente, cantando i titoli di testa e coda del film Uccellacci e uccellini, che il regista aveva scritto in forma letteraria su musica di Ennio Morricone. Nel 1968 collaborò con il gruppo di rock psichedelico Chetro & Co., per cui scrisse il testo della canzone Danze della sera (suite in modo psichedelico), adattandolo da una sua poesia intitolata Notturno. Fine anni sessanta, tra teatro e cinema Nell’estate 1968 Pasolini girò La sequenza del fiore di carta con Ninetto Davoli tratto dalla parabola evangelica del fico infruttuoso che uscirà nel 1969, come terzo episodio del film “Amore e rabbia”. Pubblicò intanto su Nuovi Argomenti un saggio dal titolo Manifesto per un nuovo teatro in cui dichiarava il suo completo rifiuto del teatro italiano. Il 27 novembre 1968 rappresentò, al Deposito del Teatro Stabile di Torino, Orgia che venne accolta malamente dal pubblico e dai critici e, nel novembre del 1968, ebbero inizio le riprese di Porcile. Porcile ha come sfondo, per il suo episodio “metastorico”, l’Etna ed era stato pensato da Pasolini già nel 1965 quando aveva visto il film di Buñuel, Intolleranza: Simon del deserto. In seguito, per girare l’episodio moderno, la troupe si sposterà per le riprese a Villa Pisani a Stra. Dopo Porcile, che l’autore ritenne "il più riuscito dei miei film, almeno esteriormente", realizzò Medea e chiamò per interpretarlo Maria Callas. Le riprese del film vennero girate in Cappadocia, a Grado, a Pisa. La Callas e Pasolini strinsero un fortissimo legame di amicizia. Durante la lavorazione del film compì un viaggio in Uganda, Tanzania e Tanganica per cercare i luoghi dell’ambientazione del film che pensava di girare subito dopo Porcile: Appunti per un’Orestiade africana. Gli anni settanta In questi anni l’opera di Pasolini si allontanò ulteriormente dalle forme della cultura tradizionale per aumentare le occasioni di espressione su vari giornali e riviste. Nell’autunno del 1970, acquistò la Torre di Chia, nei pressi di Soriano nel Cimino, dove fece costruire un appartamento-rifugio per due. Il sito era stato scoperto da Pasolini nella primavera del 1964, dopo aver visionato molti luoghi, per ricostruire la scena del Battesimo di Gesù nel fiume Giordano nel film Il Vangelo secondo Matteo. Scrisse una recensione molto critica su Nuovi Argomenti a “Satura” di Montale, che gli rispose in versi nella Lettera a Malvolio e in aprile uscì la sua ultima raccolta di poesie Trasumanar e organizzar accolta da lettori e critici distratti. All’inizio del 1971 realizzò un documentario, dal titolo 12 dicembre, con la collaborazione di alcuni militanti di “Lotta Continua” sul tema della strage alla Banca dell’Agricoltura di Milano e a marzo presta il suo nome come direttore responsabile dello stesso quotidiano. Ad aprile venne denunciato per “istigazione a delinquere e apologia del reato” per un supplemento sulle forze armate di Lotta Continua, Proletari in divisa. La Trilogia della vita Durante l’estate del 1970 scrisse la sceneggiatura di dieci novelle tratte, tra quelle tragico-comiche, dal Decameron che ambienterà nel mondo napoletano. Il Decameron voleva essere il primo del trittico che Pasolini “dedicava alla vita”. Seguiranno infatti I racconti di Canterbury e Il fiore delle Mille e una notte, i veri successi di pubblico di Pasolini. Nel settembre dello stesso anno cominciò a girare a Casertavecchia le prime riprese per proseguire, con Ser Ciappelletto, a Napoli e a Bressanone. Si accinse poi a scrivere la sceneggiatura dei Racconti di Canterbury tratti da Chaucer e il 28 giugno al Festival di Berlino, “Il Decameron” ottenne l’Orso d’Argento e più di 30 denunce in tutta italia. Nove settimane, dal settembre al novembre 1971, furono impegnate per le riprese nel Regno Unito di “Canterbury”. Nel 1972 cominciò durante l’estate, senza attendere che il film uscisse nelle sale, a lavorare alla terza parte della trilogia tratta dalle novelle delle Mille e una notte e fece diversi sopralluoghi in Egitto, in Giordania, in Guinea, in India e in Ghana.I Racconti di Canterbury vinse l’Orso d’oro al festival di Berlino, ma venne stroncato dalla critica internazionale e ripetutamente sequestrato in Italia. Nel 1973 cominciarono nel frattempo le riprese del Fiore delle mille e una notte a Isfahan, in Iran. Il lavoro procedette con precisione e velocità tanto che l’autore riuscì a girare nel frattempo un documentario, Le mura di Sana’a, che voleva essere un appello all’Unesco perché salvaguardasse l’antica città yemenita.Il fiore delle Mille e una notte uscì nelle sale all’inizio del 1974, vincendo il Grand Prix Spécial du Jury, al Festival di Cannes, e ottenne un gran successo, anche se il giudizio della critica non soddisfece l’autore. Le sceneggiature della Trilogia della vita vennero pubblicate nel 1975 con alcune pagine di introduzione titolate Abiura dalla Trilogia della vita dove prese le distanze dalle sue opere precedenti Il romanzo Petrolio e gli scritti tra il 1972 e il 1975 Nel 1972, accolto da indifferenza da parte della critica, pubblicò la raccolta di saggi Empirismo eretico e continuò a lavorare, rifugiandosi nella torre Chia, al romanzo Petrolio, pubblicato postumo nel 1992, del quale, in tre anni, aveva compilato più di 500 pagine dattiloscritte e che pensò dovesse impegnarlo: “forse per il resto della mia vita”. Nel 1973 interruppe i rapporti con l’editore Garzanti e accettò le offerte di Giulio Einaudi. Nel settembre dello stesso anno uscirono due testi per il teatro, Orgia e Affabulazione.Alla fine del 1973 lo scrittore aveva già in mente il progetto, di cui rimangono solo qualche decina di pagine, per un nuovo film dal titolo provvisorio Porno-Teo-Kolossal al quale avrebbe dovuto partecipare tra i protagonisti Eduardo De Filippo. Il progetto venne rinviato. Durante l’estate del 1974 scrisse una lunga appendice al dramma in versi Bestia da stile. Nel maggio 1975 vide le stampe La nuova gioventù, che era una riproduzione dell’opera La meglio gioventù, e durante l’estate Pasolini lavorò al montaggio di Salò, che fu presentato, dopo la sua morte, il 22 novembre del 1975 al festival di Parigi. A ottobre consegnò a Einaudi La Divina Mimesis. Si recò quindi a Stoccolma per un incontro all’Istituto italiano di cultura e al ritorno si fermò a Parigi per rivedere l’edizione francese di Salò: il 31 ottobre ritornò a Roma.Pasolini scrisse quindi quello che diverrà il suo ultimo documento pubblico. Si tratta del testo dell’intervento che avrebbe dovuto tenere in quei giorni al 15º Congresso del Partito Radicale: Gli Scritti corsari A novembre del 1972 cominciò a collaborare con il settimanale Tempo occupandosi di recensioni letterarie che usciranno nel volume postumo, Descrizioni di descrizioni. All’inizio del 1973 passò al Corriere della Sera, allora diretto da Piero Ottone e da Gaspare Barbiellini Amidei, e il 7 gennaio uscì il primo articolo, Contro i capelli lunghi, che avviò un’ininterrotta serie di interventi riguardo l’ambito politico, il costume, il comportamento pubblico e privato: questi articoli saranno raccolti nel volume Scritti corsari. In seguito al referendum sul divorzio, pubblicò il 10 giugno 1974, sul Corriere, l’articolo Gli italiani non sono più quelli che scatenò dure polemiche con Maurizio Ferrara e Italo Calvino.Pasolini dedicò all’operato politico dei Radicali una certa attenzione. Pur mantenendo inalterata la sua posizione contraria non tanto alla legalizzazione dell’aborto in sé, quanto al conformismo che, riguardo a questa tematica, si traduceva in quello che lui definisce “fanatico abortismo”, anche se "in una situazione pratica avrebbe scelto il male minore cioè l’aborto". Divorzio e aborto erano invece propugnati con forza proprio dal PR, tra il 1974 e il 1975 scrisse alcuni pezzi, sul Corriere della Sera e su altri quotidiani, dedicati alle battaglie radicali e agli scioperi della fame di Marco Pannella, tra cui il famoso articolo Il fascismo degli antifascisti (uscito sul Corriere del 16 luglio 1974). Il 14 novembre del 1974, pubblicò sul Corriere della Sera l’articolo Cos’è questo golpe? Io so, in cui accusava la Democrazia Cristiana e gli altri partiti suoi alleati nel governo di essere i veri mandanti delle stragi, a partire da piazza Fontana.Il 19 gennaio del 1975 uscì sul Corriere della Sera il suo articolo “Sono contro l’aborto”, che suscitò altre polemiche. Scrisse alcuni articoli sul settimanale Il Mondo che andranno a far parte del volume postumo Lettere luterane, tra cui l’ultimo suo scritto pubblicato in vita, il 30 ottobre 1975. Nel mese di maggio uscì il volume Scritti corsari che raccoglieva tutti gli articoli scritti per i quotidiani Corriere della Sera, Tempo illustrato, Il Mondo, Nuova generazione e Paese Sera, tra il 1973 e il 1975, e che comprendeva una sezione di documenti allegati, redatti da vari autori e alcuni scritti di critica che erano apparsi sul settimanale Tempo dal 10 giugno al 22 ottobre 1974. In una lettera del 3 ottobre 1975 indirizzata a Gianni Scalia, Pasolini comprendeva l’urgenza di mettere in termini di economia politica quello che Pasolini scriveva sul Corriere e chiedeva al suo amico di aiutarlo in questa fatica. Questo progetto era rimasto naturalmente solo sulla carta. Il film Salò o le 120 giornate di Sodoma Interessato al progetto del film tratto da Sade si mise a studiare intensamente il kantiano “male radicale” che riduce l’umanità nella schiavitù del consumismo e che corrompe, manipolandole, le anime insieme ai corpi (precedentemente definiti “una terra ancora non colonizzata dal potere”). Ai primi di febbraio del 1975 terminò la sceneggiatura del film che non sarà mai realizzato, Il padre selvaggio e a metà dello stesso mese cominciarono nel mantovano le riprese di Salò o le centoventi giornate di Sodoma, ultimo film scritto e diretto da Pasolini, che verrà presentato al pubblico quando l’autore sarà già morto da tre settimane. Il 12 settembre 2015, in occasione del 72º festival di Venezia, il film verrà premiato nella categoria classici come miglior film restaurato. La morte Nella notte tra il 1º e il 2 novembre 1975 Pasolini fu ucciso in maniera brutale: percosso e travolto dalla sua stessa auto sulla spiaggia dell’Idroscalo di Ostia, località del Comune di Roma. Il cadavere massacrato venne ritrovato da una donna alle 6 e 30 circa; sarà l’amico Ninetto Davoli a riconoscerlo. Dell’omicidio fu incolpato Pino Pelosi di Guidonia, di diciassette anni, già noto alla polizia come ladro di auto e “ragazzo di vita”, fermato la notte stessa alla guida dell’auto del Pasolini. Pelosi affermò di essere stato avvicinato da Pasolini nelle vicinanze della Stazione Termini, presso il Bar Gambrinus di Piazza dei Cinquecento, e da questi invitato sulla sua vettura (un’Alfa Romeo 2000 GT Veloce) dietro la promessa di un compenso in denaro. Dopo una cena offerta dallo scrittore, nella trattoria Biondo Tevere nei pressi della Basilica di San Paolo, i due si diressero alla periferia di Ostia. La tragedia, secondo la sentenza, scaturì a seguito di una lite per pretese sessuali di Pasolini alle quali Pelosi era riluttante, degenerata in un alterco fuori dalla vettura. Il giovane venne minacciato con un bastone del quale poi si impadronì per percuotere Pasolini fino a farlo stramazzare al suolo, gravemente ferito ma ancora vivo. Quindi Pelosi salì a bordo dell’auto dello scrittore e travolse più volte con le ruote il corpo, sfondandogli la cassa toracica e provocandone la morte. Gli abiti di Pelosi non mostrarono tracce di sangue. Pelosi venne condannato in primo grado per omicidio volontario in concorso con ignoti e il 4 dicembre del 1976 con la sentenza della Corte d’Appello, pur confermando la condanna dell’unico imputato, riformava parzialmente la sentenza di primo grado escludendo ogni riferimento al concorso di altre persone nell’omicidio. Controversie e altre ipotesi Due settimane dopo il delitto apparve un’inchiesta su L’Europeo con un articolo di Oriana Fallaci, che ipotizzava una premeditazione e il concorso di almeno altre due persone. Un giornalista di quel giornale ebbe alcuni colloqui con un ragazzo che, tra molte esitazioni e alcuni momenti di isteria, avrebbe dichiarato di aver fatto parte del gruppo che aveva massacrato il poeta; il giovane tuttavia, dopo un’iniziale collaborazione avrebbe rifiutato di proseguire oltre o fornire altre informazioni, dileguandosi dopo aver lasciato intendere di rischiare la vita confessando la propria partecipazione e concludendo che non sarebbe stata intenzione del gruppo uccidere il poeta, ma che si sarebbe trattato di una rapina degenerata, concludendo je volevamo solà er portafoglio ("volevamo rubargli il portafoglio). Diversi abitanti delle numerose abitazioni abusive esistenti in via dell’Idroscalo confidarono in seguito alla stampa di aver sentito urla concitate e rumori– indizio della presenza di ben più di due persone sul posto– e invocazioni disperate di aiuto da parte del Pasolini la notte del delitto, ma senza che alcuno fosse intervenuto in suo soccorso. Sembra che la zona non fosse ignota al Pasolini, che già varie volte vi si era recato con altri partner e addirittura, stando a quanto la Fallaci affermò, avrebbe talvolta affittato per qualche ora una delle abitazioni del posto per trascorrervi momenti di intimità. Nella sua biografia su Pasolini Enzo Siciliano sostiene che il racconto dell’imputato presentava delle falle perché il bastone di legno– in realtà, una tavoletta di legno utilizzata precariamente per indicare il numero civico e l’abitazione di una delle baracche– a lui sembrava marcita per l’umidità e troppo deteriorata per costituire l’arma contundente che aveva causato le gravissime ferite riscontrate sul cadavere del poeta e rimarcando l’impossibilità, per un giovane minuto come il Pelosi, di sopraffare un uomo agile e forte come Pasolini senza presentare né tracce della presunta lotta, né macchie di sangue sulla sua persona o sugli indumenti. Il film Pasolini, un delitto italiano, di Marco Tullio Giordana, uscito nel ventennale del delitto, è sceneggiato come un’inchiesta e arriva alla conclusione che Pelosi non fosse solo. Lo stesso Giordana però ha precisato, in un’intervista al Corriere della Sera, che non intendeva sostenere a tutti i costi la matrice politica nel delitto. Ha dichiarato inoltre di non escludere altre possibilità, per esempio quella di un incontro omosessuale di gruppo degenerato in violenza.Pelosi, dopo aver mantenuto invariata la sua assunzione di colpevolezza per trent’anni, fino al maggio 2005, a sorpresa, nel corso di un’intervista televisiva, ha affermato di non essere l’esecutore materiale del delitto di Pier Paolo Pasolini, e ha dichiarato che l’omicidio era stato commesso da altre tre persone, giunte su un’autovettura targata Catania, che a suo dire parlavano con accento “calabrese o siciliano” e, durante il massacro, avrebbero ripetutamente inveito contro il poeta gridandogli " jarrusu (termine gergale siciliano, utilizzato in senso dispregiativo nei confronti degli omosessuali). E infatti, era giunta a suo tempo alle autorità una lettera anonima in cui si affermava che, la sera della morte di Pasolini, la sua auto era stata seguita da una Fiat 1300 targata Catania di cui erano indicate le prime quattro cifre, ma nessuno si preoccupò mai di effettuare una verifica presso il Pubblico Registro Automobilistico (PRA). Pelosi ha poi fatto i nomi dei suoi presunti complici solo in un’intervista del 12 settembre 2008 pubblicata sul saggio d’inchiesta di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza “Profondo Nero” (Chiarelettere 2009). Ha aggiunto inoltre di aver celato questa rivelazione per timore di mettere a rischio l’incolumità della propria famiglia ma di sentirsi adesso libero di parlare, dopo la morte dei genitori. A trent’anni dalla morte, assieme alla ritrattazione di Pelosi, è emersa la testimonianza di Sergio Citti, amico e collega di Pasolini, su una sparizione di copie dell’ultimo film Salò e su un eventuale incontro con dei malavitosi per trattare la restituzione. Sergio Citti morì per cause naturali alcune settimane dopo. Un’ipotesi molto più inquietante lo collega invece alla “lotta di potere” che prendeva forma in quegli anni nel settore petrolchimico, tra Eni e Montedison, tra Enrico Mattei e Eugenio Cefis. Pasolini, infatti, si interessò al ruolo svolto da Cefis nella storia e nella politica italiana: facendone uno dei due personaggi “chiave”, assieme a Mattei, di Petrolio, il romanzo-inchiesta (uscito postumo nel 1992) al quale stava lavorando poco prima della morte. Pasolini ipotizzò, basandosi su varie fonti, che Cefis alias Troya (l’alias romanzesco di Petrolio) avesse avuto un qualche ruolo nello stragismo italiano legato al petrolio e alle trame internazionali. Secondo autori recenti fu proprio per questa indagine che Pasolini fu ucciso.Altri collegano la morte di Pasolini alle sue accuse a importanti politici di governo di collusione con le stragi della strategia della tensione. Walter Veltroni il 22 marzo 2010 ha scritto al Ministro della Giustizia Angelino Alfano una lettera aperta, pubblicata sul Corriere della sera, chiedendogli la riapertura del caso sottolineando che Pasolini è morto negli anni settanta, “anni cui si facevano stragi e si ordivano trame”. Nel 2010, l’avvocato Stefano Maccioni e la criminologa Simona Ruffini hanno ricordato che i proprietari della trattoria Biondo Tevere, di cui Pasolini era cliente abituale, furono sentiti pochissime ore dopo l’identificazione del corpo ed entrambi descrissero il giovane con cui Pasolini s’era presentato la sera del delitto come alto almeno 1,70 e forse di più, con capelli lunghi e biondi, pettinati all’indietro, ovvero completamente diverso da Pelosi, che era poco più di 1.60 m., tarchiato e con folti capelli neri e ricci, secondo la moda dell’epoca. Hanno anche raccolto la dichiarazione di un nuovo testimone, cosa che ha aperto ulteriori indagini che però sono state definitivamente archiviate all’inizio del 2015. Le nuove indagini non hanno portato infatti a nulla di nuovo rispetto alla sentenza, se non ad alcune tracce di Dna sui vestiti dello scrittore. Tracce però di impossibile attribuzione e impossibili da collocare temporalmente, se durante il delitto o nei giorni precedenti. Sostenitori della sentenza Molti intellettuali sostengono la verità giudiziaria, o comunque non credono a complotti. Si tratta di scrittori e amici di Pasolini che ritengono inattendibile, per molti motivi, la ritrattazione di Pelosi a distanza di trent’anni. In linea generale, sono gli stessi che rifiutano la lettura politica militante delle opere di Pasolini e l’immagine edulcorata del personaggio che porta a farne “un santo e un martire”. Essi privilegiano, invece, una chiave interpretativa dell’uomo e dell’opera legata alla sua particolare omosessualità, vissuta senza fermarsi di fronte a pratiche estreme e violente, anche con i minori.Sono le basi da cui partono Edoardo Sanguineti (che definisce il suo comportamento “suicidio per delega"), Franco Fortini e il curatore dell’opera omnia Walter Siti per sostenere che in generale la sua scrittura presenta un forte contenuto autobiografico e che in particolare alcune opere sono una sorta di autobiografia originata da una tendenza sadomasochista votata all’autodistruzione.Sono le stesse basi che utilizzano Nico Naldini, cugino di primo grado di Pasolini, anch’egli omosessuale, poeta e scrittore, nonché suo collaboratore in tutti i film, e Marco Belpoliti per dire che con le teorie del complotto si manifesta la resistenza della sinistra e di alcuni amici ad accettare la particolare omosessualità dello scrittore riducendola a una sorta di vizietto, una pratica privata di cui non si deve parlare, mentre costituisce la sostanza su cui egli ha fondato la propria opera e la propria critica della società. Naldini, che definisce le teorie del complotto “bufale che si inseguono e che si divorano l’un l’altra”, e "delirio che continua da molti anni e non è ancora del tutto passato", nel suo libro “Breve vita di Pasolini”, scrive che l’attrazione per quel tipo di ragazzi gli faceva perdere il senso del pericolo. Un senso che avrebbe invece dovuto tenere ben presente, vista anche la sua costituzione fisica minuta (era alto 1,69 m e pesava 59 kg.) che lo portava a essere facile oggetto di lesioni, anche da parte di ragazzi. Per diversi motivi, tra cui il fatto che lo scrittore, da tempo, aveva adottato il sadomasochismo, anche con rituali feticistici (le corde per farsi legare e così immobilizzato in una sorta di scena sacrificale farsi percuotere fino allo svenimento), Naldini ritiene che abbiano ragione coloro che dicono che, suo cugino, in fondo, sia in parte autore del suo stesso destino. La sua morte è spiegata dal fatto che viveva una vita violenta: per questo egli pensa che sia allo stesso tempo tragico e ridicolo volerlo trasformare in una specie di santo laico. Anche per il critico Giancarlo Vigorelli, scopritore di Pier Paolo Pasolini sin da quand’era un poeta adolescente, si tratta di omicidio omosessuale. Egli considerava Pasolini un uomo pieno di contraddizioni non tanto perché cercasse il sesso occasionale, ma per la violenza, “per il modo bestiale in cui si consumava durante nottate di violenza che non comprendevo. Fino alle sette di sera era una persona, dopo era tutt’altra… a me gelava il sangue quando lo vedevo il giorno dopo le sue avventure notturne pieno di graffi e lividi”.Ferdinando Camon, la cui prefazione dei primi libri è stata scritta da Pasolini, afferma che lo scrittore è morto come ha rischiato tante volte di morire. Egli sostiene che le teorie del complotto rispondono al desiderio di alcuni amici di Pasolini di mondarlo dalla morte per omosessualità, vissuta anche comprando minorenni, per consegnarlo alla storia come morto per antifascismo. L’amico pittore Giuseppe Zigaina rievoca le circostanze della scomparsa di Pasolini in un suo saggio. Dal confronto con la simbologia presente in gran parte delle sue opere egli sostiene che Pasolini ha «progettato per quindici anni la sua morte». Sulle stesse posizioni, contro le teorie del complotto, si trovano anche Guido Santato, studioso di Pasolini, e l’italianista Bruno Pischedda il quale aggiunge che queste teorie sono anche un tentativo di preservarne la statura di vate, un modo per custodire un’immagine mitica, consacrata, ponendola fuori e al di sopra di qualsiasi giudizio. Anche se la tendenza a credere nelle teorie del complotto, secondo Pierluigi Battista, prescinde dalla storia personale dello scrittore, e deriva dal fatto che "i gialli sono sempre più avvincenti della piattezza delle trame realistiche".Un altro cronista che non ha mai creduto alla tesi del complotto neofascista è Massimo Fini: nel 2015, in occasione dei quarant’anni dell’omicidio, ricordò che quella teoria fu innescata da Oriana Fallaci (sua collega all’Europeo) dopo aver sfogliato alcune riviste dal parrucchiere e aver raccolto dei boatos in quel senso, e che successivamente fu ripresa dai grossi intellettuali (tra cui Umberto Eco e Alberto Moravia), poiché negli anni settanta «attribuire ogni nefandezza ai fascisti era uno sport nazionale, tanto più facile perché [...] i fascisti erano scomparsi, e tutti, dal sociologo paraculo del Corriere della Sera, al Corriere stesso, ai democristiani, a chi scriveva manuali di cucina, ma, beninteso, sempre in “ottica rivoluzionaria”, all’ultima cocotte erano diventati di sinistra» e poiché non volevano accettare che Pasolini fosse morto «cercando di infilare un bastone nel culo al diciassettenne Pino la rana». Fini aggiunse che Pasolini era solito recarsi in zone periferiche e malfamate, come il quartiere Pigneto, per incontrare i «ragazzi di vita» e comportarsi in maniera sadica con loro dal momento che quella era la sua zona d’ombra, e all’idroscalo Lido di Roma incontrò un ragazzo che si ribellò a una certa richiesta. A prescindere dai fatti e dalle responsabilità che hanno condotto alla sua morte, la fine di Pasolini sembra essere emblematica, al punto che la sua morte è stata paragonata a quella di Caravaggio: Archivi personali Presso la Cineteca di Bologna si trova l’archivio del Centro Studi Pier Paolo Pasolini donato nel 2004 da Laura Betti. Il Gabinetto Vieusseux di Firenze ha un suo consistente fondo comprendente circa 39 anni di epistolario, manoscritti e dattiloscritti delle sue opere, foto personali e foto di scena, rassegna stampa sulle sue attività, opuscoli, locandine ecc. Una raccolta di manoscritti del periodo friulano, tra cui Quaderni rossi (1946-1947) e i Manifesti politici (1949) e una fitta corrispondenza epistolare con gli amici e i parenti sono depositati al Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia Opere * Per l’importanza della sua poesia il critico statunitense Harold Bloom ha inserito Pasolini tra gli scrittori che compongono il Canone Occidentale. Poesia * Poesie a Casarsa, Libreria Antiquaria Mario Landi, Bologna, 1942. * Poesie, Stamperia Primon, San Vito al Tagliamento, 1945. * Diarii, Pubblicazioni dell’Academiuta, Casarsa, 1945; ristampa anastatica 1979, con premessa di Nico Naldini. * I pianti, Pubblicazioni dell’Academiuta, Casarsa, 1946. * Dov’è la mia patria, con 13 disegni di G. Zigaina, Edizioni dell’Academiuta, Casarsa, 1949. * Tal còur di un frut, Edizioni di Lingua Friulana, Tricesimo, 1953; nuova edizione a cura di Luigi Ciceri, Forum Julii, Udine, 1974. * Dal diario (1945-47), Sciascia, Caltanissetta, 1954; nuova edizione, 1979, con introduzione di L. Sciascia, illustrazioni di Giuseppe Mazzullo. * La meglio gioventù, Biblioteca di Paragone, Sansoni, Firenze, 1954. * Il canto popolare, Edizioni della Meridiana, Milano, 1954. * Le ceneri di Gramsci, Garzanti, Milano, 1957; nuova edizione Einaudi, Torino, 1981, con un saggio critico di Walter Siti). * L’usignolo della Chiesa Cattolica, Longanesi, Milano, 1958; nuova edizione, Einaudi, Torino, 1976. * Roma 1950. Diario, All’insegna del pesce d’oro (Scheiwiller), Milano, 1960. * Sonetto primaverile (1953), Scheiwiller, Milano, 1960. * La religione del mio tempo, Garzanti, Milano, 1961; nuova edizione Einaudi, Torino, 1982. * Poesia in forma di rosa (1961-1964), Garzanti, Milano, 1964. * Poesie dimenticate, a cura di Luigi Ciceri, Società filologica Friulana, Udine, 1965. * Poesie [riunisce una scelta d’autore di 24 poesie da Le ceneri di Gramsci, La religione del mio tempo e Poesia in forma di rosa]; Garzanti, Milano, 1970. * Trasumanar e organizzar, Garzanti, Milano, 1971. * La nuova gioventù. Poesie friulane 1941-1974, Einaudi, Torino, 1975; Collana Gli struzzi n.243, Einaudi, 1981; Collezione di poesia, Einaudi, 2002. * Le poesie [riunisce Le ceneri di Gramsci, La religione del mio tempo, Poesia in forma di rosa, Trasumanar e organizzar e alcune inedite], Garzanti, Milano, 1975. * Poesie e pagine ritrovate, a cura di Andrea Zanzotto e Nico Naldini, con disegni di Pier Paolo Pasolini e Giuseppe Zigaina, Lato Side 25, Roma, 1980. Bestemmia. Tutte le poesie, 2 voll., a cura di Graziella Chiarcossi e Walter Siti, prefazione di Giovanni Giudici, Garzanti, Milano, 1993, ISBN 978-88-116-3584-0; nuova edizione nella Collana Gli elefanti Poesia, 4 voll., Garzanti, 1995-1996. Poesie scelte, a cura di Nico Naldini e Francesco Zambon, con un’introduzione di F. Zambon, Collana Poeti del nostro tempo, TEA, Milano 1997; Collana Poeti della Fenice, Guanda, Parma, 2015, ISBN 978-88-235-1253-5; Collana Tascabili poesia, Guanda, 2017, ISBN 978-88-235-1747-9. * Tutte le poesie, 2 voll. in cofanetto, a cura e con uno scritto di Walter Siti, saggio introduttivo di Fernando Bandini, Collana I Meridiani, Mondadori, Milano, 2003. Traduzioni poetiche Dal latino Dall’Eneide, in Umberto Todini, Virgilio e Plauto, Pasolini e Zanzotto. Inediti e manoscritti d’autore tra antico e moderno, in Lezioni su Pasolini, a cura di Tullio De Mauro e Francesco Ferri, Sestante, Ascoli Piceno 1997, p. 56. Dal francese * Roger Allard, Storia di Yvonne, in Poesia straniera del Novecento, a cura di A. Bertolucci, Garzanti, Milano 1958, pp. 82–87. * Jean Pellerin, La romanza del ritorno, in Poesia straniera del Novecento, a cura di A. Bertolucci, Garzanti, Milano 1958, pp. 88–93. * André Frénaud, Esortazione ai poveri, in «L’Europa letteraria», dicembre 1960. In friulano * Niccolò Tommaseo, A la so Pissula Patria, «Il Stroligut», n. 1, avost 1945, p. 19. * Giuseppe Ungaretti, Luna, «Il Stroligut», n. 2, avril 1946, p. 19. Dal greco al friulano * Tre frammenti di Saffo, in Massimo Fusillo, La Grecia secondo Pasolini. Mito e cinema, La Nuova Italia, Firenze 1996, pp. 243–244. Narrativa * Ragazzi di vita, Garzanti, Milano 1955 (nuova ed.: Einaudi, Torino 1979, con un’appendice contenente Il metodo di lavoro e I parlanti). * Una vita violenta, Garzanti, Milano 1959 (nuova edizione: Einaudi, Torino 1979). * Donne di Roma. Sette storie di P.P.Pasolini, Introduzione di Alberto Moravia, 104 fotografie di Sam Waagenaar, Collana Specchio del mondo n.8, Milano, Il Saggiatore, 1960. * L’odore dell’India, Longanesi, Milano 1962; Nuova ed., Guanda, Parma 1990, con un’intervista di Renzo Paris ad Alberto Moravia. * Il sogno di una cosa, Garzanti, Milano 1962. * Alì dagli occhi azzurri, Garzanti, Milano 1965. * Teorema, Garzanti, Milano 1968. * La Divina Mimesis, Einaudi, Torino 1975; Nuova ed. con una nota introduttiva di Walter Siti, Einaudi, 1993. * Amado mio preceduto da Atti impuri, con uno scritto di A. Bertolucci, edizione a cura di Concetta D’Angeli, Garzanti, Milano 1982. * Petrolio, a cura di Maria Careri e Graziella Chiarcossi, con una nota filologica di Aurelio Roncaglia, Einaudi, Torino 1992; a cura di Silvia De Laude, Collana Oscar, Mondadori, Milano, 2005. * Un paese di temporali e di primule, a cura di Nico Naldini, Guanda, Parma 1993 [oltre a racconti, contiene saggi di argomento friulano] * Romàns, seguito da Un articolo per il «Progresso» e Operetta marina, a cura di Nico Naldini, Guanda, Parma 1994. * Storie della città di Dio. Racconti e cronache romane (1950-1966), a cura di Walter Siti, Einaudi, Torino 1995. * Romanzi e racconti, 2 voll., a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, con due saggi di W. Siti, Mondadori, Milano 1998. Sceneggiature e testi per il cinema * La notte brava, in Filmcritica, novembre-dicembre 1959. * Accattone, prefazione di Carlo Levi, FM, Roma 1961; poi in Accattone, Mamma Roma, Ostia, introduzione di Ugo Casiraghi, Garzanti, Milano 1993, pp. 23–236. * Mamma Roma, Rizzoli, Milano 1962; poi in Accattone, Mamma Roma, Ostia, cit., pp. 239–401. * Il Vangelo secondo Matteo, a cura di Giacomo Gambetti, Garzanti, Milano 1964; poi in Il Vangelo, Edipo, Medea, introduzione di Morando Morandini, Garzanti, Milano 1991, pp. 7–300. * La commare secca, in «Filmcritica», ottobre 1965. * Uccellacci e uccellini, Garzanti, Milano 1966. * Edipo re, Garzanti, Milano 1967, poi in Il Vangelo, Edipo, Medea, cit., pp. 313–454. * Che cosa sono le nuvole?, in Cinema e Film, 1969. * Porcile (soggetto del primo episodio, titolo originario Orgia), in «ABC», 10 gennaio 1969. * Appunti per un poema sul Terzo Mondo (soggetto), in Pier Paolo Pasolini. Corpi e luoghi, a cura di Michele Mancini e Giuseppe Perrella, Theorema, Roma 1981, pp. 35–44. * Ostia, un film di Sergio Citti, sceneggiatura di S. Citti e Pier Paolo Pasolini, Garzanti, Milano 1970; poi in Accattone, Mamma Roma, Ostia, cit., pp. 405–566. * Medea, Garzanti, Milano 1970; poi in Il Vangelo, Edipo, Medea, cit., pp. 475–605. * Storie scellerate, un film di Sergio Citti, soggetto e sceneggiatura di S. Citti e Pier Paolo Pasolini 1973. * Il padre selvaggio (racconto-sceneggiatura scritto nel 1963 per un film mai realizzato), Collana Nuovi Coralli n.114, Einaudi, Torino, I ed. 1975. Trilogia della vita (Il Decameron, I racconti di Canterbury, il Fiore delle Mille e una notte), a cura di Giorgio Gattei, Cappelli, Bologna 1975; nuove edizioni Oscar Mondadori, Milano 1987, e Garzanti, Milano 1995, con introduzione di Gianni Canova. * San Paolo, Collana Supercoralli. Nuova serie, Einaudi, Torino, 1977, ISBN 978-88-060-9878-0; Prefazione di Enzo Bianchi, Collana Elefanti bestseller, Garzanti, Milano, 2017, ISBN 978-88-116-7277-7. * Appunti per un’Orestiade africana, a cura di Antonio Costa, Quaderni del Centro Culturale di Copparo, Copparo (Ferrara) 1983. * Ignoti alla città (commento), in Pier Paolo Pasolini, Il cinema in forma di poesia, a cura di Luciano De Giusti, Cinemazero, Pordenone 1979, pp. 117–18. * La canta delle marane (commento), ibid., pp. 119–20. * Comizi d’amore (scaletta preparatoria), ibid., pp. 123–27. * Storia indiana (soggetto), ibid., pp. 134–35. * Le mura di Sana’a (commento), in «Epoca», 27 marzo 1988. * Porno-Teo-Kolossal, in «Cinecritica», aprile-giugno 1989. * Sant’Infame, ivi. * La Terra vista dalla Luna, sceneggiatura a fumetti, presentazione di Serafino Murri, in «MicroMega», ottobre-novembre 1995. La Nebbiosa, in «Filmcritica», 459/460, novembre-dicembre 1995; edizione integrale secondo le sequenza della prima stesura, a cura di Graziella Chiarcossi, prefazione di Alberto Piccinini, nota al testo di Maria D’Agostini, Biblioteca delle Silerchie, Il Saggiatore, Milano, 2013. * Per il cinema, 2 voll. in cofanetto, a cura di Walter Siti e Franco Zabagli, con due scritti di B. Bertolucci e Mario Martone, saggio introduttivo di Vincenzo Cerami, Collana I Meridiani, Mondadori, Milano, 2001. Teatro * Italie Magique, in Potentissima signora, canzoni e dialoghi scritti per Laura Betti, Longanesi, Milano 1965, pp. 187–203. * Pilade, in «Nuovi Argomenti», luglio-dicembre 1967. * Affabulazione, in «Nuovi Argomenti», luglio-settembre 1969. * Calderón, Garzanti, Milano 1973. * I Turcs tal Friùl (I Turchi in Friuli), a cura di Luigi Ciceri, Forum Julii, Udine 1976 (nuova edizione a cura di Andreina Nicoloso Ciceri, Società filologica friulana, Udine 1995). * Affabulazione-Pilade, presentazione di Attilio Bertolucci, Garzanti, Milano 1977. * Porcile, Orgia, Bestia da stile, con una nota di Aurelio Roncaglia, Garzanti, Milano 1979. * Teatro (Calderón, Affabulazione, Pilade, Porcile, Orgia, Bestia da stile), prefazione di Guido Davico Bonino, Garzanti, Milano 1988. * Affabulazione, con una nota di Guido Davico Bonino, Einaudi, Torino 1992. * La sua gloria (dramma in 3 atti e 4 quadri, 1938), in «Rendiconti», 40, marzo 1996, pp. 43–70. * Teatro, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, con due interviste a L. Ronconi e S. Nordey, Mondadori, Milano 2001. * Bestia da stile, a cura di Pasquale Voza, Editrice Palomar, Bari 2005. Traduzioni teatrali Eschilo, Orestiade, a cura dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico per le rappresentazioni classiche nel teatro greco di Siracusa, Urbino 1960; poi Quaderni del Teatro popolare italiano n.2, Einaudi, Torino 1960; con una Lettera del traduttore, Collana Scrittori tradotti da scrittori, Einaudi, 1985. * Plauto, Il vantone, Garzanti, Milano 1963; Prefazione di Umberto Todini, Garzanti, 1994. Saggi * “Paolo Weiss” testo di Pasolini, con 34 tavole del pittore, Edizioni della Piccola Galleria Roma 1946 * Passione e ideologia (1948-1958), Garzanti, Milano 1960 (nuove edizioni Einaudi, Torino 1985, con un saggio introduttivo di C. Segre, e Garzanti, Milano 1994, con prefazione di A. Asor Rosa). * “I parlanti” (1948) estratto da “Botteghe Oscure”, Roma 1951, ripubblicato in appendice all’edizione Einaudi di “Ragazzi di vita”, 1979 * “Donne di Roma” con introduzione di Alberto Moravia, Milano, Il Saggiatore, 1960 * Empirismo eretico, Garzanti, Milano 1972. * Scritti corsari, Garzanti, Milano 1975 (nuova edizione 1990, con prefazione di A. Berardinelli). * Volgar’eloquio, a cura di Antonio Piromalli e Domenico Scafoglio, Athena, Napoli, 1976 * Lettere luterane, Einaudi, Torino, 1976; con un’introduzione di Alfonso Berardinelli, 2003. Descrizioni di descrizioni, a cura di Graziella Chiarcossi, Collana Gli struzzi n.194, Einaudi, Torino, I ed. 1979; prefazione di Giampaolo Dossena, Garzanti, Milano, 1996; introduzione di Paolo Mauri, Collana Saggi, Garzanti, 2006. [raccoglie le recensioni letterarie apparse sul settimanale «Tempo» tra il 26 novembre 1972 e il 24 gennaio 1975] * Il Portico della Morte, a cura di Cesare Segre, «Associazione Fondo Pier Paolo Pasolini», Garzanti Milano 1988. * Antologia della lirica pascoliana. Introduzione e commenti, a cura di Marco Antonio Bazzocchi, saggio introduttivo di M. A. Bazzocchi ed Ezio Raimondi, Einaudi, Torino 1993. * I film degli altri, a cura di Tullio Kezich, Guanda, Parma 1996. * Poesia dialettale del Novecento, a cura di Mario dell’Arco e Pier Paolo Pasolini, introduzione di Pasolini, Guanda, Parma 1952 (nuova edizione Einaudi, Torino 1995, con prefazione di Giovanni Tesio). * Canzoniere italiano. Antologia della poesia popolare, a cura di Pier Paolo Pasolini, Guanda, Parma 1955 (nuova edizione Garzanti, Milano 1972 e 1992). Pier Paolo Pasolini e il setaccio 1942-1943, a cura di Mario Ricci, Cappelli, Bologna 1977, con scritti di Roberto Roversi e Gianni Scalia (contiene i seguenti saggi pasoliniani: «Umori» di Bartolini; Cultura italiana e cultura europea a Weimar; I giovani, l’attesa; Noterelle per una polemica; Mostre e città; Per una morale pura in Ungaretti; Ragionamento sul dolore civile; Fuoco lento.Collezioni letterarie; Filologia e morale; Personalità di Gentilini; «Dino» e «Biografia ad Ebe»; Ultimo discorso sugli intellettuali; Commento a un’antologia di «lirici nuovi»; Giustificazione per De Angelis; Commento allo scritto del Bresson; Una mostra a Udine). * Tutti gli articoli di Pasolini per «Il Setaccio» sono leggibili sul sito della Biblioteca comunale dell’Archiginasio * Nota sull’odierna poesia, «Gioventù italiana del Littorio. Bollettino del Comando federale di Bologna», aprile 1942, p. 6. Stroligut di cà da l’aga (1944)– Il Stroligut (1945-1946)– Quaderno romanzo (1947), riproduzione anastatica delle riviste dell’Academiuta friulana, a cura del Circolo filologico linguistico padovano, Padova, 1983 (contiene i seguenti saggi pasoliniani: Dialet, lenga e stil; Academiuta di Lenga Furlana; Alcune regole empiriche d’ortografia; Volontà poetica ed evoluzione della lingua). * Saggi sulla letteratura e sull’arte, 2 voll., in cofanetto, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, con un saggio di Cesare Segre, Collana I Meridiani, Mondadori, Milano, 1999. * Saggi sulla politica e sulla società, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, con un saggio di Piergiorgio Bellocchio, Collana I Meridiani, Mondadori, Milano 1999. * I giovani e l’attesa. Tre scritti giovanili (1942-43), Ogni uomo è tutti gli uomini, 2015, ISBN 978-88-96691-93-9. * Il mio cinema, Collana Il cinema ritrovato, Cineteca di Bologna, 2015, ISBN 978-88-99196-13-4. Dialoghi con i lettori Le belle bandiere. Dialoghi 1960-65, a cura di Gian Carlo Ferretti, Collana I David n.19, Roma, Editori Riuniti, 1977. [contiene una scelta dei dialoghi apparsi sul settimanale «Vie Nuove» tra il 4 giugno e il 30 settembre 1965] Il caos, a cura di Gian Carlo Ferretti, Collana I David, Roma, Editori Riuniti, dicembre 1979. [contiene una scelta dei dialoghi apparsi sul settimanale «Tempo», dal 6 agosto 1968 al 24 gennaio 1970]; Collana Saggi, Garzanti, Milano, 2015, ISBN 978-88-11-68501-2; Prefazione di Roberto Saviano, collana Gli elefanti. Saggi, Garzanti, 2017, ISBN 978-65-11-67298-1. * I dialoghi, a cura di Giovanni Falaschi, prefazione di Gian Carlo Ferretti, Collana I Grandi, Roma, Editori Riuniti, 1992, ISBN 978-88-359-3638-1. [comprende tutti i dialoghi apparsi su «Vie Nuove» e su «Tempo»] Epistolari * Lettere agli amici (1941-1945), Collana Biblioteca della Fenice n.3, Parma, Guanda, 1976. * Lettere 1940-1954, Con una cronologia della vita e delle opere, a cura di Nico Naldini, Collana Biblioteca dell’Orsa n.2, Torino, Einaudi, 1986, ISBN 978-88-06-59331-5. * Lettere 1955-1975, a cura di Nico Naldini, Collana Biblioteca dell’Orsa, Torino, Einaudi, 1988, ISBN 978-88-06-59953-9. * Vita attraverso le lettere, A cura di Nico Naldini, Collana ET Scrittori, Torino, Einaudi, 1994, ISBN 978-88-06-13580-5. Interviste Il sogno del centauro, A cura di Jean Duflot. Prefazione di Gian Carlo Ferretti, Collana Universale scienze sociali, Roma, Editori Riuniti, 1983. (lunga intervista concessa in due tempi– 1969 e 1975– apparsa dapprima in francese– nel 1970 e nel 1981– col titolo Les dernières paroles d’un impie); Collana I libelli, Editori Riuniti, II ed. 1993, ISBN 978-88-35-83789-0. * Pasolini su Pasolini. Conversazioni con Jon Halliday, traduzione di C. Salmaggi, Collana Biblioteca della Fenice, Parma, Guanda, 1992, ISBN 978-88-7746-622-8. * Interviste corsare sulla politica e sulla vita 1955-1975, A cura di Michele Gulinucci, Roma, Liberal Atlantide editoriale, 1995. * Furio Colombo e Gian Carlo Ferretti (a cura di), L’ultima intervista di Pasolini, Collezione Le Coccinelle, Avagliano Editore, 2005, ISBN 978-88-8309-186-5. * Povera Italia. Interviste e interventi, 1949-1975, A cura di Angela Molteni, Kaos Edizioni, 2013, ISBN 978-88-7953-253-2. * Polemica Politica Potere, conversazioni con Gideon Bachmann, A cura di Riccardo Costantini, Collana Reverse, Milano, Chiarelettere, 2015, ISBN 978-88-6190-789-8. Programmi radiofonici * Paesaggi e scrittori: il Friuli, a cura di Pier Paolo Pasolini, sabato 17 agosto 1956, RAI programma nazionale. Filmografia * Accattone (1961) * Mamma Roma (1962) * La ricotta, episodio di Ro.Go.Pa.G. (1963) * La rabbia (1963) co-regia con Giovannino Guareschi * Comizi d’amore (1964) * Sopralluoghi in Palestina per il Vangelo secondo Matteo (1964) * Il Vangelo secondo Matteo (1964) * Uccellacci e uccellini (1966) * La Terra vista dalla Luna, episodio di Le streghe (1967) * Edipo re (1967) * Che cosa sono le nuvole?, episodio di Capriccio all’italiana (1968) * Appunti per un film sull’India (1968) * Teorema (1968) * La sequenza del fiore di carta, episodio di Amore e rabbia (1969) * Porcile (1969) * Medea (1969) * Appunti per un’Orestiade africana (1970) * Il Decameron (1971) * Le mura di Sana’a (1971) * I racconti di Canterbury (1972) * Il fiore delle Mille e una notte (1974) * Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) Discografia Album * 1995: Meditazione Orale (BMG Ricordi, 74321-27043-2) * 1997: Pasolini / Kresnik / Schwertsik– Gastmahl Der Liebe (Volksbühne Recordings) * 2005: Pasolini Rilegge Pasolini (Archinto) * 2006: Pier Paolo Pasolini, Giovanna Marini– Le Ceneri di Gramsci (Block Nota, I Dischi Di Angelica, CD BN 608) Singoli * 1962 Poesia In Forma Di Rosa (7") (RCA Italiana, 17 CL-12) Canzoni scritte da Pier Paolo Pasolini Premi e riconoscimenti cinematografici * Festival di Cannes 1958 al miglior soggetto originale per Giovani mariti di Mauro Bolognini * Nastro d’Argento 1960 al miglior soggetto originale per La notte brava di Mauro Bolognini * Primo premio per la regia al Festival Internazionale del cinema di Karlovy Vary 1962 per Accattone * Mostra internazionale di Venezia– 1964: Leone d’argento– Gran premio della giuria e premio O.C.I.C. (Office Chatolique International du Cinéma) per Il vangelo secondo Matteo * Nastro d’Argento al miglior regista 1965 per Il vangelo secondo Matteo * Nastro d’Argento 1967 al miglior soggetto originale per Uccellacci e uccellini * Mostra internazionale di Venezia– 1968 premio O.C.I.C. (Office Chatolique International du Cinéma) per Teorema * Premio “Amelia” 1969 per la cinematografia * Kinema Junpo Awards 1970: Miglior film straniero per Edipo re * Festival internazionale del cinema di Berlino: Orso d’argento 1971 per Il Decameron * Festival internazionale del cinema di Berlino: Orso d’oro 1972 per I racconti di Canterbury * Festival di Cannes 1974: Grand Prix Speciale della Giuria per Il fiore delle Mille e una notte * Festival di Venezia 2015: Miglior film restaurato per Salò o le 120 giornate di Sodoma Riferimenti Wikipedia – https://it.wikipedia.org/wiki/Pier_Paolo_Pasolini
Marco Petruzzella nasce in Via della Commenda a Milano nel lontano 1972 orgogliosamente milanese di origini meridionali. Attivista per i diritti umani in Italia e all’estero per più di un decennio. Consulente aziendale di professione, divoratore e fabbricatore di versi per vocazione. A dicembre 2023 viene pubblicata la sua opera prima: la raccolta di poesie “DiStanze” ( Edizioni Progetto Cultura) con prefazione del conduttore televisivo, attore e scrittore per l’infanzia Oreste Castagna , che viene presentata poco dopo alla fiera del libro di Roma “ Più libri più liberi “. La sua poesia “Altrove” , contenuta in “DiStanze” vince il premio Internazionale Letteratura dell’ istituto italiano di Cultura di Napoli nella sezione poesia singola. A febbraio si cimenta nel suo primo racconto illustrato per Bambini. Da questo probabilmente ne deriverà uno spettacolo teatrale. A settembre 2024 viene pubblicata la sua seconda silloge poetica dal titolo “Incudini & Farfalle “ (Edizioni La Gru).