#ScrittoriItaliani (XVI Rime secolo)
I’ sto rinchiuso come la midolla da la sua scorza, qua pover e solo, come spirto legato in un’ampolla: e la mia scura tomba è picciol volo, dov’è Aragn’ e mill’opre e lavoranti,
Se sempre è solo e un quel che sol muove il tutto per altezza e per traverso, non sempre a no’ si mostra per un verso, ma più e men quante suo grazia piove. A me d’un modo e d’altri in ogni altrove…
Non più per altro da me stesso togli l’amor, gli affetti perigliosi e vani, che per fortuna avversa o casi strani, ond’e’ tuo amici dal mondo disciogli, Signor mie car, tu sol che vesti e spogl…
Signor, se vero è alcun proverbio antico… questo è ben quel, che chi può mai non v… Tu hai creduto a favole e parole e premiato chi è del ver nimico. I’ sono e fui già tuo buon servo antico,
Come fiamma più cresce più contesa dal vento, ogni virtù che ’l cielo esalt… tanto più splende quant’è più offesa.
Mentre m’attrista e duol, parte m’è caro ciascun pensier c’a memoria mi riede il tempo andato, e che ragion mi chiede de’ giorni persi, onde non è riparo. Caro m’è sol, perc’anzi morte imparo
Passa per gli occhi al core in un moment… qualunche obbietto di beltà lor sia, e per sì larga e sì capace via c’a mille non si chiude, non c’a cento, d’ogni età, d’ogni sesso; ond’io pavento…
La vita del mie amor non è ’l cor mio, c’amor di quel ch’i’ t’amo è senza core; dov’è cosa mortal, piena d’errore, esser non può già ma’, nè pensier rio. Amor nel dipartir l’alma da Dio
I’ piango, i’ ardo, i’ mi consumo, e ’l… di questo si nutrisce. O dolce sorte! chi è che viva sol della suo morte, come fo io d’affanni e di dolore? Ahi! crudele arcier, tu sai ben l’ore
L’alma di dentro di fuor non vedea, come noi, il volto, chiuso in questo ave… che se nel ciel non è albergo sì bello, trarnela morte già ma’ non potea.
Le favole del mondo m’hanno tolto il tempo dato a contemplare Iddio, né sol le grazie suo poste in oblio, ma con lor, più che senza, a peccar volt… Quel c’altri saggio, me fa cieco e stolt…
Qui son chiusi i begli occhi, che aperti facén men chiari i più lucenti e santi; or perché, morti, rendon luce a tanti, qual sie più ’l danno o l’util non siàn…
Costei pur si delibra, indomit’ e selvaggia, ch’i’ arda, mora e caggia a quel c’a peso non sie pure un’oncia; e ’l sangue a libra a libra
Gl’infiniti pensier mie d’error pieni, negli ultim’anni della vita mia, ristringer si dovrien ’n un sol che sia guida agli etterni suo giorni sereni. Ma che poss’io, Signor, s’a me non vien…
A pena prima aperti gli vidd’io i suo begli occhi in questa fragil vita, che, chiusi el dì dell’ultima partita, gli aperse in cielo a contemplare Dio. Conosco e piango, e non fu l’error mio,