Giosuè Carducci

In una chiesa Gotica

Sorgono e in agili file dilungano
gl’immani ed ardui steli marmorei,
e ne la tenebra sacra somigliano
di giganti un esercito
 
che guerra mediti con l’invisibile:
le arcate salgono chete, si slanciano
quindi a vol rapide, poi si rabbracciano
prone per l’alto e pendule.
 
Ne la discordia cosí de gli uomini
di fra i barbarici tumuli salgono
a Dio gli aneliti di solinghe anime
che in lui si ricongiungono.
 
Io non Dio chieggovi, steli marmorei,
arcate aeree: tremo, ma vigile
al suon d’un cognito passo che piccolo
i solenni echi suscita.
 
È Lidia, e volgesi: lente nel volgersi
le chiome lucide mi si disegnano,
e amore e il pallido viso fuggevoli
tra il nero velo arridono.
 
Anch’ei, tra 'l dubbio giorno d’un gotico
tempio avvolgendosi, l’Alighier, trepido
cercò l’imagine di Dio nel gemmeo
pallore d’una femina.
 
Sott’esso il candido vel, de la vergine
la fronte limpida fulgea ne l’estasi,
mentre fra nuvoli d’incenso fervide
le litanie salíano;
 
salian co’ murmuri molli, co’ fremiti
lieti saliano d’un vol di tortore,
e poi con l’ululo di turbe misere
che al ciel le braccia tendono.
 
Mandava l’organo pe’ cupi spazii
sospiri e strepiti: da l’arche candide
parea che l’anime de’ consanguinei
sotterra rispondessero.
 
Ma da le mitiche vette di Fiesole
tra le pie storie pe’ vetri roseo
guardava Apolline: su l’altar massimo
impallidiano i cerei.
 
E Dante ascendere tra inni d’angeli
la tosca vergine transfigurantesi
vedea, sentiasi sotto i piè ruggere
rossi d’inferno i baratri.
 
Non io le angeliche glorie né i démoni,
io veggo un fievole baglior che tremola
per l’umid’aere: freddo crepuscolo
fascia di tedio l’anima.
 
Addio, semitico nume! Continua
ne’ tuoi misterii la morte domina.
O inaccessibile re de gli spiriti,
tuoi templi il sole escludono.
 
Cruciato martire tu cruci gli uomini,
tu di tristizia l’aër contamini:
ma i cieli splendono, ma i campi ridono,
ma d’amore lampeggiano
 
gli occhi di Lidia. Vederti, o Lidia,
vorrei tra un candido coro di vergini
danzando cingere l’ara d’Apolline
alta ne’ rosei vesperi
 
raggiante in pario marmo tra i lauri,
versare anemoni da le man, gioia
da gli occhi fulgidi, dal labbro armonico
un inno di Bacchilide.
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