Giacomo Leopardi

XXX: Sopra un basso rilievo sepolcrale dove una giovane morta è rappresentata in atto di partire, accomiatandosi dai suoi

Dove vai? chi ti chiama
Lunge dai cari tuoi,
Bellissima donzella?
Sola, peregrinando, il patrio tetto
Sì per tempo abbandoni? a queste soglie
Tornerai tu? farai tu lieti un giorno
Questi ch’oggi ti son piangendo intorno?
 
Asciutto il ciglio ed animosa in atto,
Ma pur mesta sei tu. Grata la via
O dispiacevol sia, tristo il ricetto
A cui movi o giocondo,
Da quel tuo grave aspetto
Mal s’indovina. Ahi ahi, nè già potria
Fermare io stesso in me, nè forse al mondo
S’intese ancor, se in disfavore al cielo
Se cara esser nomata,
Se misera tu debbi o fortunata.
 
Morte ti chiama; al cominciar del giorno
L’ultimo istante. Al nido onde ti parti,
Non tornerai. L’aspetto
De’ tuoi dolci parenti
Lasci per sempre. Il loco
A cui movi, è sotterra:
Ivi fia d’ogni tempo il tuo soggiorno.
Forse beata sei; ma pur chi mira,
Seco pensando, al tuo destin, sospira.
 
Mai non veder la luce
Era, credo, il miglior. Ma nata, al tempo
Che reina bellezza si dispiega
Nelle membra e nel volto,
Ed incomincia il mondo
Verso lei di lontano ad atterrarsi;
In sul fiorir d’ogni speranza, e molto
Prima che incontro alla festosa fronte
I lùgubri suoi lampi il ver baleni;
Come vapore in nuvoletta accolto
Sotto forme fugaci all’orizzonte,
Dileguarsi così quasi non sorta,
E cangiar con gli oscuri
Silenzi della tomba i dì futuri,
Questo se all’intelletto
Appar felice, invade
D’alta pietade ai più costanti il petto.
 
Madre temuta e pianta
Dal nascer già dell’animal famiglia,
Natura, illaudabil maraviglia,
Che per uccider partorisci e nutri,
Se danno è del mortale
Immaturo perir, come il consenti
In quei capi innocenti?
Se ben, perchè funesta,
Perchè sovra ogni male,
A chi si parte, a chi rimane in vita,
Inconsolabil fai tal dipartita?
 
Misera ovunque miri,
Misera onde si volga, ove ricorra,
Questa sensibil prole!
Piacqueti che delusa
Fosse ancor dalla vita
La speme giovanil; piena d’affanni
L’onda degli anni; ai mali unico schermo
La morte; e questa inevitabil segno,
Questa, immutata legge
Ponesti all’uman corso. Ahi perchè dopo
Le travagliose strade, almen la meta
Non ci prescriver lieta? anzi colei
Che per certo futura
Portiam sempre, vivendo, innanzi all’alma,
Colei che i nostri danni
Ebber solo conforto,
Velar di neri panni,
Cinger d’ombra sì trista,
E spaventoso in vista
Più d’ogni flutto dimostrarci il porto?
Già se sventura è questo
Morir che tu destini
A tutti noi che senza colpa, ignari,
Nè volontari al vivere abbandoni,
Certo ha chi more invidiabil sorte
A colui che la morte
Sente de’ cari suoi. Che se nel vero,
Com’io per fermo estimo,
Il vivere è sventura,
Grazia il morir, chi però mai potrebbe,
Quel che pur si dovrebbe,
Desiar de’ suoi cari il giorno estremo,
Per dover egli scemo
Rimaner di se stesso,
Veder d’in su la soglia levar via
La diletta persona
Con chi passato avrà molt’anni insieme,
E dire a quella addio senz’altra speme
Di riscontrarla ancora
Per la mondana via;
Poi solitario abbandonato in terra,
Guardando attorno, all’ore ai lochi usati
Rimemorar la scorsa compagnia?
Come, ahi come, o natura, il cor ti soffre
Di strappar dalle braccia
All’amico l’amico,
Al fratello il fratello,
La prole al genitore,
All’amante l’amore: e l’uno estinto,
L’altro in vita serbar? Come potesti
Far necessario in noi
Tanto dolor, che sopravviva amando
Al mortale il mortal? Ma da natura
Altro negli atti suoi
Che nostro male o nostro ben si cura.
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