Giran le spole, il fil s’attorce, io canto:
Ho diciott’anni in core,
Due begli occhi, un telaio ed un amore,
Vesto d’indiana e non conosco il pianto.
S’io snodo e sciolgo la mia treccia rossa
Ove un raggio sfavilla,
Nel guardo a chi m’affisa una scintilla
S’accende, e in petto elettrica una scossa!
Ma passo noncurante, e rido in viso
Ai tentator loquaci;
Serbo per l’amor mio tutti i miei baci,
E il mondo venderei pel suo sorriso.
Io l’amo;—egli è il signor della fucina,
Egli è il re del martello:
Alto, robusto, nerboruto e bello,
A lui dappresso sembro una bambina.
Quand’egli batte il ferro arroventato
Dinanzi alla fornace,
E sul volto ha i riflessi della brace,
E s’inturgida il collo denudato,
Io m’esalto per lui tutta d’orgoglio,
E per lui tutto oblìo;
Il mio demone egli è come il mio Dio,
E per me sola, per me sola il voglio!....
E s’io l’attendo ne la mia soffitta,
E l’ora è già trascorsa,
Mi si strozza il respir dentro una morsa,
E mi sento qui al sen come una fitta:
Ma un passo già risuona sulle scale....
Già l’uscio si spalanca....
La mano trema e il labbro mi s’imbianca,
Ma per corrergli incontro ai piedi ho l’ale....
Nero di polve e splendido d’amore,
Affranto e sorridente,
Ecco, ei m’avvolge in una stretta ardente,
E sento sul mio cor battergli il core.